Rientrò nel proprio ufficio, giusto in tempo per ricevere una chiamata telestatica proveniente da Lucy Rall.
«... a dispetto dei miei sforzi» la ragazza disse «sono stata cacciata fuori dal Penny Palace. E quando ho visto chiudersi le porte ho subito capito cosa stava accadendo. Temo che l'abbiano portato in una delle case delle illusioni, e anche lei sa cosa possa significare.»
Hedrock annuì, pensoso. Notò chiaramente che la ragazza pareva turbata dalla propria esperienza.
«Fra le altre cose» disse lentamente «le energie illusionistiche hanno effetti limitativi sulla callidesi. La natura della trasformazione non può venire determinata senza successive misurazioni, ma si può affermare con ragionevole certezza che la fortuna di Clark non prenderà mai più la direzione del successo al gioco d'azzardo.»
Aveva ritardato la propria reazione, per poter studiare il volto della ragazza. Ora disse con decisione: «È un vero peccato che Clark sia caduto così facilmente preda di tutte le insidie della città. Ma poiché non è mai stato più di una possibilità a lunga scadenza, possiamo lasciarlo andare senza molti rimpianti, soprattutto... e questo non sarà mai abbastanza sottolineato... in quanto anche la più piccola interferenza nel procedere naturale della sua vita verrebbe a dar origine, più tardi, a sospetti; annullando così tutta l'utilità che potrebbe avere per noi.
«Pertanto, può considerarsi sciolta da ogni obbligo di sorveglianza nei suoi riguardi. Ulteriori istruzioni le saranno date a tempo debito.» Fece una pausa. «Che c'è, Lucy? Ha una fissazione emotiva per lui?»
L'espressione della ragazza non lasciava dubbi. Hedrock continuò, tranquillamente: «Quando se ne è accorta?»
Ogni resistenza che potesse esserci in lei, ogni paura di venire scoperta, erano sparite. «È stato quando le altre donne lo baciavano. Non deve pensare» si affrettò a dire «che la cosa mi abbia turbato. Dovrà avere un mucchio di altre esperienze del genere, prima che la cosa sia finita.»
«Non necessariamente» disse Hedrock, franco. «Deve rassegnarsi a ciò che accadrà nella casa delle illusioni, ma le mie osservazioni mi dicono che un'alta percentuale di uomini emerge da un'esperienza di quel tipo con la durezza dell'acciaio in alcuni aspetti, ma piuttosto annoiata dei piaceri mondani.»
Dal volto di lei, comprese di avere detto abbastanza. La base per le future azioni della ragazza era gettata. Il risultato sarebbe venuto nel normale corso degli eventi. Le rivolse un sorriso amichevole: «Questo è tutto, per ora, Lucy. Non si lasci abbattere.»
L'immagine di Lucy e quella di Hedrock svanirono dallo schermo in un lampo.
Robert Hedrock lanciò spesso qualche occhiata dalla porta del proprio ufficio, nel corso dell'ora seguente. Dapprima i corridoi gli parvero pieni di gente. Gradualmente l'attività diminuì, e infine il suo corridoio rimase vuoto.
Ora agì con decisione, ma senza fretta. Da una cassaforte della parete, prese i progetti microfilmati della macchina per il controllo del tempo: quella che aveva visto nella stanza dei consiglieri dei negozi d'armi, meno di due ore prima. Aveva chiesto al Centro Informativo di inviarglieli, e dal Centro glieli avevano inviati senza commenti.
Non c'era nulla di strano in un simile consenso. Come capo del Dipartimento Coordinazione, aveva accesso a tutte le conoscenze scientifiche dei negozi d'armi. Inoltre aveva anche una spiegazione del motivo per cui gli occorrevano quei progetti, nel caso in cui qualcuno gliela chiedesse. Desiderava studiarli, avrebbe detto, nella speranza che gli suggerissero qualche soluzione. Ma in realtà le sue ragioni erano segrete, e il suo scopo era personale.
Con le pellicole in tasca, si diresse lungo il corridoio, verso la scala più vicina. Scese cinque rampe, e giunse a una sezione dell'Hotel Regina Ganeel che non era occupata dai negozi d'armi. Aprì la porta di un appartamento, entrò, e si chiuse a chiave la porta alle spalle.
Era un appartamento imponente, come si addiceva a un dirigente dei negozi d'armi: cinque stanze e una vastissima biblioteca. Si diresse immediatamente verso la biblioteca, chiuse a chiave la porta, poi esaminò con attenzione tutta la stanza, alla ricerca di dispositivi spia.
Come si aspettava, non ne trovò. A quanto sapeva, nessuno nutriva sospetti nei suoi riguardi. Ma non era sua abitudine correre rischi senza necessità.
Rapidamente, accostò uno degli anelli che aveva al dito a una normalissima presa di corrente. Un anellino metallico uscì dalla presa. Inserì il dito nell'anello e tirò. Ciò che accadde in quel momento era un fenomeno abbastanza consueto per i negozi d'armi: fu portato, da un trasmettitore di materia dei negozi, a una distanza di quasi duemila chilometri e si trovò in uno dei suoi numerosi laboratori. L'unica cosa che fosse fuori dell'ordinario, nella sua azione, era il fatto che la presenza del trasmettitore non fosse conosciuta dal consiglio dei negozi d'armi. Quel laboratorio era da secoli uno dei suoi numerosi e vigilatissimi rifugi segreti.
Pensò di poter rimanere un'ora laggiù senza destare sospetti. Ma l'unica cosa che avrebbe potuto fare in un'ora era una copia del microfilm. La costruzione di un duplicato della macchina avrebbe richiesto molte visite uguali a quella.
Da quanto poi constatò, aveva il tempo di fare un'ulteriore copia dei progetti. Con molta attenzione ripose la seconda copia in una cassaforte, dove già erano schedate decine di migliaia di altri diagrammi e piani costruttivi a cui, nel corso di varie migliaia di anni, aveva dato priorità assoluta.
Alla fine dell'ora, l'unico uomo immortale della Terra, fondatore dei negozi d'armi, padrone di segreti ignorati da qualsiasi altro essere umano vivente, ritornò alla biblioteca del suo appartamento, nell'Hotel Regina Ganeel.
E infine ritornò nel suo ufficio, cinque piani più in alto.
12
Lucy Rall uscì dalla cabina telestatica governativa e, mentre attraversava in fretta un pergolato, colse la propria immagine riflessa su uno specchio a energia. Si fermò. Le luci esterne scintillavano, ammiccanti. I marciapiedi splendevano di un chiarore che sfidava la notte. Ma rimase ferma davanti all'immagine invertita di se stessa, e studiò il proprio viso pallido e gli occhi pieni d'ansia.
Aveva sempre pensato a se stessa come a una ragazza graziosa, ma la faccia che aveva di fronte a sé era troppo tirata per essere ancora bella. Pensò: "È questo, ciò che il signor Hedrock ha visto?".
Infine, giunta in strada, camminò per qualche tempo senza avere una meta precisa. Aveva effettuato la chiamata dalla cabina di uno dei palazzi da gioco, e l'abbagliante splendore della famosa Avenue della Fortuna la circondava ancora. Era ancora una strada magica, animata da sciami di falene umane che passavano da una fonte di luce all'altra.
Quelle luci splendevano giorno e notte, ma le folle cominciavano gradualmente ad assottigliarsi a mano a mano che l'oscurità del cielo diminuiva. Era tempo anche per lei di andare a casa. Ma indugiava laggiù, in preda a un'indecisione che non le era affatto naturale, consapevole di non poter fare nulla, e chiedendosi che cosa potesse fare. Il conflitto interiore la prosciugava delle sue energie, e per due volte nel giro di un'ora si fermò a bere una bevanda energizzante.
C'era qualcosa d'altro in lei: un senso di sciagura personale. Aveva sempre dato per certo che avrebbe sposato prima o poi un membro dei negozi d'armi. Durante la scuola e l'università, quando già era stata accolta la sua domanda di entrare a far parte dei negozi, aveva considerato tutte le altre persone - le persone normali - come degli estranei. Si disse, con comprensione: "È stato in quel momento sulla nave, quando era nei guai. Mi è spiaciuto per lui".
E adesso Cayle era in guai ancora peggiori. Se avesse potuto individuare la casa in cui lo avevano portato, avrebbe allora... fatto che cosa? La sua mente si fermò. Lei stessa si stupì per l'arditezza dell'idea. Ma era ridicolo. Se si fosse recata in uno di quei luoghi, avrebbe dovuto sperimentare fino in fondo un'illusione, sia mentale sia fisica.
Tremante, pensò che i negozi d'armi l'avrebbero allontanata dalla loro organizzazione per avere anche solo pensato a una simile prospettiva. Ma quando il suo pensiero tornò automaticamente ai codicilli dei documenti da lei firmati, non poté ricordare alcuna proibizione del genere. Anzi, alcune delle frasi di quei documenti, così come le ricordava, erano chiaramente rivelatrici, se le esaminava nella sua presente situazione:
"... Gli appartenenti ai negozi d'armi possono contrarre matrimonio in accordo al proprio desiderio... partecipare o assistere a qualsiasi vizio o piacere di Isher per motivi personali... Non ci sono restrizioni sull'impiego che ogni membro fa del proprio tempo libero...
"È tuttavia dato per inteso che nessun membro sarà disposto a fare una qualsiasi cosa che possa nuocere al suo rapporto con la macchina Pp... come a ciascuno è stato chiaramente detto... periodici esami da parte della macchina Pp determineranno la continuità o no del rapporto tra il singolo membro e i negozi stessi...
"Nel caso si scopra che un membro è sceso al di sotto dei requisiti in un grado vitale, i negozi d'armi toglieranno al membro ogni ricordo e ogni informazione sui negozi stessi che se dovessero venire a conoscenza di persone non autorizzate potrebbero risultare pericolose per i negozi...
"I seguenti vizi e piaceri, quando siano perseguiti con eccessiva attenzione, hanno dimostrato in passato di poter essere il primo passo verso lo scioglimento del rapporto..."
Tra questi, ricordava che erano moderatamente pericolose per le donne le case delle illusioni. Non ricordava esattamente, ma le pareva che ci fosse una. nota che accompagnava quell'elenco. Qualcosa sul fatto che il pericolo stava non tanto nel piacere in sé, ma nella consapevolezza che gli uomini che si potevano incontrare in quei luoghi erano quasi sempre schiavi riluttanti. La ripetizione dell'esperienza finiva col penetrare nella sfera dell'Io cosciente, con il risultato che ciò che era iniziato come la ricerca di un'avventura sensuale relativamente normale finiva con una partecipazione sempre più sfacciata dell'Io a un delitto.
Uscì da quella profonda meditazione, simile a un sogno a occhi aperti, e si accorse che si stava dirigendo rapidamente verso il caratteristico segnale lampeggiante di una stazione telestatica. In meno di un minuto entrò in collegamento con il Centro Informativo dei negozi d'armi. Pochi secondi ancora, e metteva in borsa un duplicato telestatico dei 2108 indirizzi delle case delle illusioni, per dirigersi poi verso il Penny Palace.
Aveva preso la decisione, e da quel momento in poi non esitò un solo istante.
All'interno del Penny Palace, scorse cose che Cayle non aveva potuto certamente osservare, essendo privo delle sue conoscenze. Il gioco, vide, era quasi ritornato al normale. Alcune delle persone pagate dalla casa da gioco stavano ancora ostentatamente giocando a macchine che altrimenti sarebbero state completamente trascurate. Nel momento in cui un sufficiente numero di legittimi cercatori di guadagno rischiava denaro su una macchina, le persone prezzolate si ritiravano elegantemente.
Lucy si diresse verso il retro della grande sala, soffermandosi varie volte e fingendo di osservare il gioco che si svolgeva alle macchine. Aveva in borsa un neutralizzatore dei negozi d'armi. In tal modo apri e poi richiuse le porte che conducevano agli uffici del direttore, senza fare scattare gli allarmi del tipo imperiale.
Una volta all'interno, si affidò completamente al proprio anello d'allarme per essere avvertita dell'arrivo di chiunque. Freddamente, ma rapidamente, cominciò a frugare l'ufficio. Per prima cosa schiacciò l'attivatore della macchina archiviatrice, componendo la parola illusioni. Lo schermo rimase vuoto. Allora compose la parola casa. Nessuna risposta.
Certo il direttore doveva avere l'indirizzo o gli indirizzi delle case con cui era in rapporto. Come una furia prese la guida del telestato e ne mise in azione gli attivatori. Ma anche ora le parole casa e illusioni non ottennero risposta. Era possibile che quel Martin (aveva scoperto la sua firma su vari documenti) fosse collegato a un numero limitato di case e ne tenesse a mente i numeri? Con una smorfia, si disse che era possibilissimo.
Non aveva intenzione di andarsene prima di avere sfruttato fino in fondo le possibilità della sua posizione. Rapidamente esaminò il contenuto della scrivania. Non avendo trovato nulla, si accomodò nella morbida poltrona dell'ufficio, e attese.
Non dovette aspettare a lungo. Il dito cominciò a pruderle quando l'anello d'allarme si mise in azione. Lo voltò prima in direzione di una delle porte, poi in direzione dell'altra. La risposta attiva giunse dalla porta da cui era entrata lei stessa, quasi un quarto d'ora prima. Chiunque fosse il nuovo venuto, doveva adesso trovarsi nel corridoio, con la mano sulla maniglia della porta dell'ufficio.
La porta si aprì, ed entrò l'uomo grasso. Stava canterellando tra sé. La grossa scrivania e la poltrona dove sedeva Lucy erano disposte in modo che l'uomo fu all'interno della stanza prima di accorgersi di avere un'ospite. Batté le palpebre nel vederla: un ometto dagli occhi color azzurro mare, grasso, che chissà come, già da tempo, doveva avere vinto ogni paura. Gli occhietti porcini si posarono sulla pistola impugnata dalla ragazza, poi tornarono sul viso di lei, golosi.
«Bella ragazza» disse infine.
Ovviamente, non era tutta la sua reazione. Lucy attese. E infine giunse anche il resto: una domanda melliflua, con un sottofondo di stizza:
«Che cosa vuole?»
«Mio marito.»
Da tutti i punti di vista, quella era parsa a Lucy la miglior presentazione di se stessa. Era naturale che ci potesse essere una signora Clark nelle retrovie.
«Marito?» ripeté l'uomo, in tono vacuo. Pareva sinceramente sorpreso.
Lucy disse, con voce monotona: «Stava vincendo. Io attendevo dietro di lui, tenendo un occhio sul gioco. Poi sono stata cacciata via da una folla violenta. Quando ho cercato di ritornare dentro, la porta era chiusa. E quando si è riaperta, mio marito non c'era più. Ho fatto due più due, e sono qui.»
Non era un lungo discorso, ma esauriva l'argomento. Dava il ritratto di una moglie decisa e preoccupata. E questo era molto importante. Sarebbe stato spiacevole che l'uomo sospettasse un interesse dei negozi d'armi per Cayle Clark. Lucy vide che la comprensione si era fatta strada nell'uomo grasso.
«Oh, vuole dire quello!» Rise bruscamente, con gli occhi vigili. «Mi spiace, signora, ma mi sono limitato a chiamare un servizio di merciplani che ha conoscenze. Che cosa poi facciano delle persone che raccolgono, non lo saprei.»
Lucy disse, pronunciando con precisione le parole: «Intende dire che non sa l'indirizzo dove l'hanno portato, ma sa che tipo di posto sia. È giusto?»
L'uomo la fissò, pensoso, come se cercasse di chiarire qualcosa a se stesso. Poi alzò le spalle:
«Casa delle illusioni» disse.
Il fatto che Lucy lo avesse già previsto non rendeva meno preziosa la conferma. Così come la visibile franchezza dell'uomo non significava che avesse detto la verità.
Lucy disse: «Vedo che c'è una Lambeth in quell'angolo. La porti qui.»
L'uomo la portò subito. «Noterà» disse «che non faccio resistenza.»
Lucy non rispose. Prese il cono della Lambeth e lo puntò in direzione dell'uomo grasso. «Come si chiama?»
«Harj Martin.»
Gli aghi della Lambeth rimasero immobili. Il nome era davvero Martin.
Prima che la donna potesse riprendere a parlare, Martin disse: «Sono pronto a darle tutte le informazioni che desidera.» Alzò le spalle. «Non me ne importa niente. Siamo protetti. Se potrà trovare la casa dove è stato portato suo marito, faccia pure. Ma dovrebbe sapere che quelle case hanno i loro metodi per sbarazzarsi degli uomini, quando viene chiamata la polizia.»
Nelle sue parole c'era un nervosismo che richiamò l'attenzione di Lucy. Lo osservò con occhi attenti:
«Lei sta meditando qualche scherzetto» disse. «Vorrebbe invertire la nostra posizione rispettiva.» Scosse il capo, con espressione di biasimo. «Non ci provi. Sparerei.»
«È un'arma dei negozi d'armi» disse Martin, piccato.
«Esattamente» disse Lucy. «Non sparerà se lei non m'attaccherà.»
Questo non era rigorosamente vero. I membri dei negozi d'armi avevano pistole speciali, che sparavano con meno limitazioni di quelle vendute ai clienti.
Martin sospirò. «Benissimo» disse. «Il nome della ditta è Merciplani Lowery.»
Gli aghi della Lambeth indicarono che il nome era giusto. Lucy indietreggiò verso la porta. «Se la sta cavando a buon mercato» disse. «Spero che lo comprenda.»
L'uomo grasso annuì, leccandosi le labbra. Lucy ebbe un'ultima immagine mentale di quegli occhi azzurri che la sorvegliavano con attenzione, come se sperassero ancora di coglierla fuori guardia.
Nessun'altra parola venne pronunciata. La donna aprì la porta, uscì, e mezzo minuto più tardi era al sicuro in strada.
Anton Lowery era un gigante biondo che si sollevò ancora semiaddormentato dal cuscino e fissò stupidamente Lucy. Non fece nessun tentativo per alzarsi. Infine disse:
«Non so dove possano averlo portato. Per noi è solo un lavoro di trasporto, capisce. Il guidatore chiama varie case alla rinfusa, finché non ne trova una che abbia bisogno di un uomo. Non teniamo registrazioni.»
Le sue parole avevano un tono vagamente indignato. Come qualsiasi onesto autista di cui venisse messa in dubbio per la prima volta l'etica professionale. Lucy non perse tempo a discutere la cosa.
«Dove posso trovare il guidatore?» chiese.
Pareva che quell'uomo avesse terminato il turno alle due del mattino e che il suo rientro non fosse previsto prima di 66 ore. «Colpa di quei sindacati» disse il signor Lowery. «Turni brevi, grandi stipendi, e un mucchio di tempo libero.» Pareva provare una certa soddisfazione nel darle queste informazioni: un senso di vittoria su di lei che diminuiva notevolmente l'indignazione delle parole.
«Dove abita?» chiese Lucy.
L'uomo non ne aveva la minima idea. «Potrebbe farselo dire dal sindacato» suggerì. «A noi il sindacato non dà nessun indirizzo.»
Risultò che non riusciva a ricordare il nome del sindacato. La Lambeth, che Lucy aveva portato con sé dal Penny Palace, dimostrò la veridicità delle sue affermazioni, una dopo l'altra. Lucy dovette arrendersi. In tre giorni, Cayle sarebbe stato iniziato alla sordida vita delle case delle illusioni. Questo cupo pensiero destò in lei una collera improvvisa.
«Accidenti a lei!» disse selvaggiamente. «Quando il guidatore si presenterà nuovamente al lavoro, lei si farà dare l'indirizzo della casa. La chiamerò dieci minuti dopo l'ora prevista per il suo ritorno, e sarà meglio che lei abbia l'informazione.»
Il suo tono di voce e i suoi modi dovevano essere stati convincenti. Anton Lowery si affrettò ad assicurarle che non aveva obiezioni: l'informazione le sarebbe stata data; si sarebbe occupato lui stesso di fargliela avere.
Protestava ancora quando Lucy lasciò la sua camera da letto.
Una volta fuori, Lucy prese un'altra bevanda energizzante a un bar automatico posto nell'angolo... e si accorse che non era sufficiente. L'orologio indicava che mancavano pochi minuti alle cinque del mattino. E il suo corpo irrigidito le diceva che era tempo di andare a casa a dormire.
Raggiunse il proprio appartamento senza incidenti. Stancamente si svestì e s'infilò a fatica tra le lenzuola. Il suo ultimo pensiero cosciente fu: "Tre giorni... il tempo passerà più lentamente per l'uomo sottoposto a piacere incessante o per me, che so che un piacere prolungato è il massimo dei dolori?".
Si addormentò su questo pensiero, come un bambino stanchissimo.
13
Non appena le fu dato l'indirizzo della casa, Lucy chiamò Hedrock. L'uomo ascoltò attentamente il suo rapporto, poi annuì.
«Buon lavoro» disse. «Noi la appoggeremo. Manderò una nave da guerra sull'edificio, molto in alto. E se non avremo sue notizie entro un ragionevole lasso di tempo, faremo un'incursione.»
Esitò. «Spero che comprenda come l'unico modo in cui possiamo giustificare una simile azione è di non lasciare nella mente di Clark alcun dubbio sul fatto che le sue ragioni sono puramente personali. È pronta ad arrivare a questo punto?»
Non aveva bisogno di rivolgere quella domanda. Il viso turbato che lo fissava dallo schermo del telestato non lasciava dubbi sulla dimensione della sua fissazione emotiva. La ragazza aveva i nervi a pezzi.
Hedrock provò un impulso di pietà; e tuttavia, comprese, non era responsabile dei sentimenti da lei provati. Si era limitato a riconoscerli, e aveva usato la propria conoscenza della psicologia per intensificare l'ardore della ricerca da lei condotta.
Un callidetico della forza di Cayle Clark si sarebbe ancora fatto sentire nel mondo di Isher. La possibilità che la sua forza d'urto esercitasse un effetto sulle sorti della guerra era tutt'altro che irreale. Una volta avviate nella giusta direzione la sua attività e la forma della callidesi, esse si sarebbero accresciute in proporzione al cubo, accumulandosi a valanga, e nessun cervello umano era in grado di afferrare l'estensione di ciò che sarebbe accaduto, se non alla fine.
Se solamente ci fosse stato il modo di scoprire la forma che avrebbe preso... Hedrock arrestò il suo filo di pensieri. Non gli si addicevano quelle speculazioni inutili. Dovevano limitarsi a sorvegliare le mosse di Clark e sperare di riconoscere il momento, una volta che questo fosse giunto. Vide che la ragazza attendeva una risposta. I suoi pensieri ritornarono immediatamente limpidi e acuti. Disse:
«Per che ora ha preso l'appuntamento? Oggi o domani?»
«Questa sera, alle dieci e trenta.» Riuscì a rivolgergli un debole sorriso. «L'addetta ha insistito perché fossi puntuale. A quanto pare, riescono a malapena a smaltire il lavoro che hanno.»
«Supponiamo che non sia tra gli uomini disponibili in quel momento... che cosa dirà?»
«A quanto so, ci dev'essere un'interruzione totale delle illusioni, a quell'ora. Gli uomini e le donne hanno allora il permesso di scegliersi i compagni. Comunque, se non dovesse essere disponibile, non lo sarò neppure io. Sarò schizzinosissima.»
«Pensa che Clark la riconoscerà?» Si accorse che la ragazza non capiva la domanda. Spiegò: «Le illusioni, secondo il fenomeno dell'immagine postuma, lasciano allucinazioni che interferiscono con la percezione visiva.»
Lucy disse: «Mi farò riconoscere.»
Descrisse vari metodi che avrebbe usato. Hedrock li esaminò a uno a uno, poi scosse il capo.
«È ovvio» disse «che non è mai stata in una casa. Quella gente è costantemente, ininterrottamente sospettosa. Finché non sarà davvero in uno stato d'illusione, lei non avrà la possibilità di dire nulla che non sia ascoltato da altre persone. Poi, una volta che le macchine automatiche cominceranno a irradiare stimoli, nessuno si preoccuperà di lei. Lo tenga in mente e si regoli di conseguenza in qualsiasi situazione.»
Lucy si era ripresa dallo shock. Dopo il pomeriggio trascorso con Cayle, si sentiva sicura di lui.
«Mi riconoscerà» disse, fermamente.
Hedrock non fece commenti. Aveva soltanto voluto far presente il problema. Tre giorni e tre notti di illusioni erano un lungo periodo. Anche se non fossero rimaste immagini postume, il cervello avrebbe perso una parte della lucidità, le funzioni vitali organiche si sarebbero trovate in condizione di provvisoria depressione, e non sarebbero rimaste energie per la memoria.
Lucy aveva ripreso a parlare. «Sarà meglio che mi prepari. Addio, signor Hedrock.»
«Le auguro tutta la fortuna del mondo, Lucy» disse Hedrock «ma non chieda aiuto a meno che non sia assolutamente necessario.»
Hedrock non lasciò il telestato nel momento in cui la conversazione si interruppe. Nel corso di quel periodo di emergenza abitava in un appartamento adiacente all'Ufficio Coordinazione. Il suo lavoro era la sua vita. Virtualmente, passava tutte le ore di veglia alla scrivania. Ora chiamò i quartieri generali della flotta dei negozi d'armi e ordinò loro di inviare una nave da guerra in servizio di protezione.
Ma non era ancora soddisfatto. Aggrottando la fronte, valutò le possibilità di Lucy, e infine si fece portare il suo dossier segreto. In due minuti, per mezzo del trasporto istantaneo dei negozi d'armi, il lontano Centro Informativo consegnò la piastra sul tavolino che stava di fronte a lui. Per prima cosa, Hedrock controllò i dati: comprensione 110, orizzonti 118, maturità 105, dominio 151, personalità 120, indice emotivo 150...
Hedrock si soffermò su questo dato. Paragonato alla norma di 100, e senza dimenticare la media di 85, Lucy era un'ottima ragazza, intelligente, con una capacità emotiva un po' elevata. Era stata appunto questa a coinvolgerla nella faccenda. Dopo che Cayle Clark era stato riconosciuto come un gigante callidetico (grazie a un controllo di routine, che veniva effettuato sulla folla che si raccoglieva davanti a un nuovo negozio d'armi), si era deciso di entrare in contatto con lui per mezzo di una donna non sposata, provvista di un elevato indice emotivo.
Intenzionalmente, il consiglio dei negozi d'armi aveva previsto che il callidetico destasse in Lucy una fissazione. Altri fattori avevano preso parte alla scelta di lei come rappresentante dei negozi d'armi, soprattutto le sue risorse di equilibrio psichico, indispensabili in una giovane donna che stava per essere sottoposta a stress innaturali. Per esempio, sarebbe stato desiderabile, dal punto di vista della felicità della ragazza, che l'attrazione fosse reciproca, almeno per il momento. La durata, ovviamente, non poteva essere assicurata in un mondo in continuo cambiamento.
A uno a uno, Hedrock esaminò i fattori applicabili alla presente situazione. Alla fine trasse un sospiro. Gli spiaceva per Lucy. I negozi d'armi di solito non interferivano nella vita privata dei loro membri, o di chicchessia. Solo quell'emergenza senza precedenti giustificava il fatto di usare un individuo umano come una pedina.
Ma ora lo stato di emergenza richiedeva la sua attenzione. Restituì il dossier al Centro Informativo, poi riaccese il telestato. Lo manipolò con attenzione, rifiutò alcune immagini causate dal "risucchio" d'energia della stanza che era la sua meta, e infine ebbe ciò che cercava: la mappa del tempo.
Non ebbe difficoltà a localizzare l'ombra più grande. Era ferma a sei settimane più un giorno nel futuro. L'ombra minuscola fu più difficile da trovare. Poi la vide: un piccolo punto nero sull'ampia curvatura della mappa. Gli pareva che fosse approssimativamente a un milione di milioni d'anni nel passato. Hedrock chiuse gli occhi, e cercò di immaginare un simile intervallo di tempo. Non ci riuscì. L'energia immagazzinata in McAllister era troppo grande, ormai, per poter trovare un termine di confronto su scala planetaria. Il problema di farla esplodere era un incubo della ragione.
Quando alla fine chiuse il telestato, provò una grande stanchezza e un incredulo stupore al pensiero che, dopo tutto quel tempo, non avesse neppure una soluzione provvisoria del più grave pericolo che mai si fosse presentato all'intero Sistema Solare.
Trascorse l'ora successiva studiando i sunti dei rapporti inviati da altri agenti nel corso della giornata. Lucy non sapeva di essere una delle poche decine di agenti che avevano accesso diretto e immediato alla sua persona, a ogni ora del giorno e della notte. Coloro che non godevano di tale privilegio parlavano a macchine, o a uno qualsiasi dei dirigenti, una decina o poco più, che si alternavano sulla base di tre turni.
Una volta dopo l'altra, quei riassunti richiesero un'indagine più approfondita. Non una sola volta rimpianse il tempo che dedicava loro. Non una sola volta li esaminò affrettatamente. Ogni rapporto venne studiato in tutti i particolari che Hedrock giudicava opportuni.
Giunsero le dieci e mezza, e anche se era certo che Lucy fosse ormai arrivata alla casa, attese un istante e poi si mise in contatto con la nave da guerra dei negozi d'armi, che sorvolava a grande altezza l'edificio.
Per un attimo esaminò la casa stessa, vista al cannocchiale: una struttura simile a un giocattolo, posta in un'area della periferia che pareva essere interamente costituita di giardini.
Poi, con quell'immagine chiara nella mente, ritornò al suo lavoro.
14
Quando aprì il cancello, Lucy si sentì lambire da un'ondata di calore. Si fermò, quasi a metà del passo.
La sensazione di calore, sapeva, era stata indotta artificialmente. Era il primo passo nei piaceri offerti da una casa delle illusioni, che raggiungevano strani vertici di gioia sensoriale. Da adesso al momento in cui avesse lasciato quel luogo, non ci sarebbe stato un solo istante in cui non aspettarsi qualche nuova, insidiosa e imprevedibile manipolazione del suo sistema nervoso.
Il breve istante d'indecisione venne superato. Lentamente, avanzò verso l'edificio, e intanto lo osservò. La casa delle illusioni era situata a una certa distanza dalla strada e sorgeva su un terreno che era stato splendidamente allestito a giardino. Fiori e arbusti sporgevano astutamente da una serie di fessure della pietra che copriva gran parte del terreno. Un massiccio paravento di piante gigantesche e verdeggianti iniziava a una trentina di metri dall'ingresso dell'edificio e lo nascondeva quasi completamente alla vista.
Lucy si diresse verso quegli alberi, e infine giunse a un pergolato che saliva gradualmente; iniziava come un basso steccato, presto giungeva a un'altezza superiore a quella della sua testa, e infine si curvava in alto, in modo da formare un tetto lucido. Si poteva scorgerne la fine, una quindicina di metri davanti a lei.
Due volte, involontariamente, rallentò il passo. La prima volta, qualcosa di morbido parve accarezzarle la faccia. Le sembrò quasi che la mano di un amante si protendesse a toccarla delicatamente, con dita affettuose. La seconda volta, il risultato fu assai più sconvolgente e Lucy trattenne bruscamente il fiato. Una vampata di calore le scaldò il viso e diffuse il tepore per tutto il suo corpo. Provò imbarazzo, ma anche piacere; si sentì un po' timida, ma eccitata. Non poté fare a meno di chiedersi se fosse ciò che una giovane donna poteva provare nella sua notte di nozze.
Era proprio in quel tipo di sfumature che le case delle illusioni eccellevano. Al loro interno, i dissoluti vecchi e stanchi - uomini e donne indistintamente - potevano ricatturare, pagando, le emozioni ormai perdute del loro corpo esausto.
Raggiunse l'angolo del corridoio e si trovò in una piccola stanza dalle pareti ricoperte di specchi. Si avvicinò con esitazione, chiedendosi se fossero porte: era turbata dalla possibilità di scegliere quella sbagliata. Infine si fermò, attendendo che una delle porte si aprisse.
Ma dopo quasi un minuto, non era ancora successo nulla; così cominciò a spingere contro la superficie di uno specchio, poi di un altro.
I primi sei offersero resistenza, come se dietro di essi ci fosse davvero una parete inamovibile. Il settimo si aprì facilmente, rivelandosi per una porta rotante. La oltrepassò e si trovò in un corridoio che era poco più largo della dimensione del suo corpo. Le sue spalle continuavano a sfiorare le pareti; e Lucy ebbe la preoccupante sensazione di trovarsi rinchiusa: la chiara impressione che lo spazio fosse troppo angusto per potervi rimanere a proprio agio.
Era qualcosa di più che una sensazione fisica. Era nella sua mente, associata alla paura dei locali ristretti, e in qualche modo si collegava a tutte le cose ignote che potevano accadere a una persona che, se fosse successo qualcosa, poteva soltanto andare avanti o indietro.
Si domandò se quell'inquietudine potesse nascere dalla sua stessa tensione, dall'essersi recata laggiù con uno scopo che non aveva nulla a che spartire con la normale attività della casa. Si opponeva alle cose che accadevano in quel tipo di luoghi. Intendeva distruggere almeno una parte della loro organizzazione. La sua ansia poteva benissimo derivare dal rischio che le sue motivazioni venissero scoperte prima che riuscisse a ottenere il suo scopo. Sembrava logico che i clienti regolari di quel luogo non si allarmassero a causa di un corridoio troppo stretto, poiché sapevano certamente dove sfociava.
Le sue paure terminarono con la stessa rapidità con cui erano sorte. All'improvviso ebbe il presentimento della gioia incommensurabile che le era promessa. Senza fiato, giunse alla fine del corridoio e spinse la stretta porta che scorse davanti a sé.
Si aprì senza difficoltà, e questa volta, con grande sollievo, Lucy vide di essere giunta in una stanza piccola, ma elegantemente arredata. Quando entrò, vide una donna seduta a una scrivania, poco a sinistra della porta. Lucy si fermò, e la donna disse:
«Si accomodi, prego. Naturalmente ci deve essere una breve serie di domande, la prima volta che una persona visita il nostro stabilimento.»
Era una donna di quarant'anni o poco più, con viso piacente, dai lineamenti classici a parte il fatto che socchiudeva le palpebre e che le sue labbra erano tirate. Senza fare parola indicò una sedia; Lucy si accomodò senza parlare. La donna cominciò a dire:
«Lei capisce, mia cara, che ogni cosa che mi dirà sarà mantenuta segreta. Anzi...» le sue labbra si atteggiarono a un sorriso; con un dito dall'unghia perfettamente laccata, si toccò la fronte «non uscirà mai di qui. Ma devo dirle che ho ottima memoria. Una volta ascoltato qualcuno parlare, o visto qualcuno, non lo dimentico più.»
Lucy non disse nulla. Aveva già incontrato molte persone provviste di memoria eidetica; accettò l'affermazione della donna di avere una memoria di quel tipo. In tutte le relazioni da lei lette a proposito delle case delle illusioni si diceva che non si era mai trovato l'elenco dei clienti. A quanto pareva, quella casa teneva i propri archivi nella mente di una persona in grado di ricordare quel tipo di cose.
La donna continuò: «Questo significa, ovviamente, che noi lavoriamo su una base strettamente per contanti. Qual è il suo reddito annuale?»
«Cinquemila crediti» disse Lucy, senza esitare.
«Dove lavora?»
Lucy nominò una ditta assai nota in città. Si trattava di cose molto semplici, e da lungo tempo predisposte dai negozi d'armi. Ogni membro dei negozi d'armi era assunto come impiegato in qualche organizzazione che apparteneva segretamente ai negozi stessi, oppure posseduta da qualche simpatizzante. Perciò, se un membro veniva interrogato in qualche normale routine della vita commerciale di Isher, poteva fornire risposte perfettamente legittime, assolutamente controllabili.
«Quanto paga d'affitto?» chiese la donna.
«Cento crediti al mese.»
«E i suoi consumi alimentari?»
«Oh, cinquanta o sessanta crediti... pressappoco.»
La donna disse, pensosa, parlando per metà tra sé: «Trasporti, dieci; vestiti, venticinque; varie, dieci. Questo le lascia un buon duemilacinquecento crediti l'anno per gli extra. Se volesse venire qui una volta la settimana, potrebbe farlo a cinquanta crediti la seduta. Comunque, le lasciamo un margine per gli imprevisti. Trentacinque crediti, per favore.»
Lucy le contò la somma, sorpresa dall'astuzia del conteggio. In realtà le sue entrate subivano altre detrazioni: per esempio, una tassa sui redditi di mille crediti l'anno. E il conto dei suoi vestiti superava abbondantemente i venticinque crediti al mese. Eppure avrebbe potuto, se necessario, se il desiderio di piacere avesse superato le sue cautele, vivere con una cifra inferiore a quella che la donna aveva indicato. Era implicito nei conti di quella donna il fatto ovvio che una persona che discendesse la china desiderasse venire nella casa più di una volta la settimana. In tal caso, si sarebbe potuta trasferire in un alloggio più economico, avrebbe potuto acquistare abiti meno costosi, mangiare meno... c'erano molti risparmi possibili, e tutti erano vecchi quanto la corruzione umana.
La donna ripose il denaro in un cassetto e si alzò in piedi. «Grazie, cara. Spero che il nostro sodalizio risulti lungo, e di reciproca soddisfazione. Per di qua, prego.»
Era un'altra porta nascosta, e conduceva a un ampio corridoio con una porta aperta all'altra estremità. Quando fu più vicina, Lucy vide che era una camera da letto ampia e lussuosa. La dimensione della camera apparve chiara, prima ancora che lei vi fosse entrata. Varie cose, nella stanza, destarono in lei un sospetto; non entrò subito, ma si arrestò sulla soglia e osservò l'interno. Doveva ricordarsi, disse a se stessa, che questa era una casa delle illusioni. Al suo interno, ciò che normalmente sarebbe parso reale, poteva non essere altro che fantasia. Ricordò le informazioni che Hedrock le aveva dato: il modo di scoprire le illusioni indotte meccanicamente. E infine vide che se osservava la stanza con la coda dell'occhio, la scena tremolava stranamente, soprattutto ai confini della visuale. Le parve di scorgere la figura di una donna, ebbe l'impressione che la stanza fosse più grande di quanto non apparisse in quel momento.
Lucy sorrise, si avviò verso la parete più lontana, la attraversò, sebbene paresse reale, e si trovò in un'enorme stanza che scintillava di specchi su tre delle pareti. Una inserviente si affrettò ad accorrere verso di lei, e si inchinò come per scusarsi.
«Voglia perdonarmi, signorina, ma poiché questa è la sua prima visita al nostro locale, supponevamo che non conoscesse nessuno dei nostri trucchi. Ha appreso la natura di questa particolare illusione da un'amica, oppure è stata in altre case?»
Era una domanda chiara, e Lucy non aveva intenzione di sottrarsi a essa. «Me l'ha descritta un amico» disse, ed era la verità.
La risposta parve soddisfacente. La donna, una bionda di piccola statura e dall'aspetto vivace, la condusse a quella che si rivelò per una porta a specchi.
«Per favore» disse «si cambi d'abito e poi esca dalla porta in fondo.»
Lucy si trovò in un piccolo spogliatoio. Una magnifica veste bianca era appesa a una gruccia, a una delle pareti. Sul pavimento c'era un paio di sandali. Null'altro. Si spogliò lentamente e cominciò subito a sentirsi in pericolo. Sarebbe stato assai difficile uscire da quella situazione. Se non fosse riuscita a entrare in contatto con Cayle nel periodo disponibile per l'incontro, allora sarebbe stata costretta a sperimentare ciò che quella casa aveva da offrire, volente o nolente.
La veste bianca era meravigliosamente sottile al tatto; e quando se la infilò sulla testa, il contatto sulla pelle le fece emettere un sospiro di piacere. Era fatta di una stoffa speciale e ricchissima che aveva lo scopo di stimolare soltanto i nervi del piacere dell'epidermide. Quel tessuto costava più di cento crediti al metro.
Rimase immobile per un lunghissimo istante, lasciando che la sensazione di piacere strisciasse in lei. D'improvviso fu presa dall'eccitazione. Barcollò, stordita, e si disse: "In realtà non ha alcuna importanza. Qualsiasi cosa succeda qui dentro, certo mi divertirò".
Infilò comodamente i piedi nei sandali, barcollò un poco alla ricerca della maniglia della porta; poi, ripreso l'equilibrio, la aprì e batté gli occhi davanti a una stanza panoramica, lungo una parete della quale sedevano gli uomini, e lungo quella opposta le donne.
Le pareti scintillavano di disegni di plastica colorata. Un ampio bar si stendeva su tutta la parete che stava di fronte a lei. Lucy, senza troppa convinzione, fece ancora un tentativo per scoprire se fosse un'illusione, osservando dalla coda dell'occhio la scena. Ma lasciò subito perdere. Era arrivata. Quella era la stanza di riunione. Entro pochi minuti avrebbe avuto la possibilità di scegliere Cayle. E se invece non avesse potuto stabilire il contatto... be', pazienza. Ci sarebbero state altre occasioni. Così disse a se stessa, confusa.
Entrò nella sala, barcollando leggermente. Sprezzante, rivolse un'occhiata alle altre donne, che, sedute ai loro piccoli tavoli, centellinavano bicchieri minuscoli. Molte erano più vecchie di lei: assai più vecchie. Improvvisamente disgustata dalle competitrici, lanciò un'occhiata in direzione degli uomini, all'altro capo della stanza. Con un certo momentaneo interesse si accorse che quella che le era parsa una sola stanza era in realtà costituita di due ambienti. Una barriera trasparente correva per tutta la lunghezza del locale, dal soffitto al pavimento, separando gli uomini dalle donne.
Era possibile, naturalmente, che anche quella barriera fosse un'illusione. E che fosse destinata a scomparire, o per i singoli individui o per l'intero gruppo, a un dato momento. Lucy, che aveva qualche nozione sulle energie usate nei processi di cui si servivano le case per raggiungere i loro effetti, pensò che prima o poi ci sarebbe stata l'unione delle due sezioni.
Il pensiero svanì dal suo cervello quando fece correre rapidamente lo sguardo sulla fila di uomini. Senza eccezione erano persone relativamente giovani. I suoi occhi avevano già superato Cayle prima che lo riconoscesse. Fece per ritornare indietro con lo sguardo, per dargli una seconda occhiata, ma un'elementare prudenza la fermò appena in tempo. Cominciava già a riprendersi dalla precedente ubriacatura emotiva, cosicché si diresse verso uno dei tavolini: lo raggiunse portando ancora con sé l'immagine mentale di lui.
Si sedette, e tutta la sua esaltazione era già sfumata. Provò vergogna al ricordo del disastro che gli aveva letto sul viso. Sofferente, stanco e infelice Cayle Clark: così le era apparso. Si chiese con poche speranze se per caso i suoi occhi opachi l'avessero notata. Poi pensò: "Tra un minuto guarderò di nuovo. E questa volta cercherò di richiamare la sua attenzione".
Tenne rigorosamente d'occhio l'orologio, decisa a non lasciarsi vincere dalla fretta. Le lancette indicavano che mancavano cinque secondi allo scoccare del minuto, quando un omino esile uscì da una nicchia e alzò un braccio. Lucy si affrettò a lanciare un'occhiata in direzione di Cayle, vide con improvviso sollievo che la stava osservando, e poi udì l'omino dire in tono gioviale:
«La barriera cade, amici. Adesso è il momento di fare conoscenza.»
Ci furono diverse reazioni al segnale. Molte delle donne rimasero sedute. Alcune, invece, si affrettarono ad alzarsi e corsero all'altro capo della stanza. Lucy, accorgendosi che Cayle veniva verso di lei, rimase dov'era. Il giovanotto si accomodò sulla sedia di fronte alla sua, e disse con voce ferma:
«Penso che lei sia molto bella, signorina.»
Con un cenno del capo, Lucy mostrò di accettare il complimento. Non si fidava di parlare. Una inserviente si chinò verso di lei:
«Soddisfatta, signorina?» La domanda venne rivolta a bassa voce.
Lucy annuì di nuovo. L'inserviente disse: «Da questa parte.»
Lucy si alzò in piedi, pensando: "Non appena saremo soli, potremmo studiare un piano di fuga."
Ci fu un improvviso trambusto a una delle porte. Entrò di corsa la donna che aveva inizialmente interrogato Lucy e parlò a voce bassa all'omino. Un istante più tardi, una campanella cominciò a sonare. Lucy si voltò, e, così facendo, in qualche modo strano, le parve di perdere l'equilibrio. Sentì che cadeva nell'oscurità...
Hedrock era ancora nel suo ufficio, alle undici e cinque, quando squillò il telestato e sullo schermo comparve la faccia di Lucy. La ragazza scosse il capo, perplessa.
«Non so che cosa sia successo» disse. «Le cose parevano procedere nel migliore dei modi. Mi aveva riconosciuto senza far capire che mi conosceva già, e a quanto pareva stavamo per essere accompagnati in qualche stanza riservata, quando tutto è diventato nero. Poi mi sono ritrovata nel mio appartamento.»
«Un attimo» disse Hedrock. Interruppe il collegamento e chiamò la nave da guerra. Il comandante scosse il capo.
«Stavo appunto per chiamarla. C'è stata una retata della polizia, e l'avvertimento dev'essere giunto quasi all'ultimo momento, perché hanno caricato le donne su autopiani... una mezza dozzina per macchina... e le hanno portate a casa.»
«E gli uomini?» Hedrock era rigido. Per le emergenze, le case avevano abitudini antipaticissime.
«È per questo che non l'ho chiamata immediatamente. Ho visto che ficcavano gli uomini in un merciplano e poi li portavano via. L'ho seguito, ma quello ha usato il solito metodo.»
«Capisco» disse Hedrock. Si coprì con la mano gli occhi e gemette nel suo intimo. Il problema di Cayle Clark diventava troppo complicato e non c'era altra soluzione che quella di lasciarlo perdere. «Va bene, capitano» disse, tristemente. «Buon lavoro.»
Staccò la comunicazione, poi chiamò di nuovo Lucy e le diede le ultime notizie. «Mi spiace» disse «ma questo lo elimina dalla scena. Non osiamo interferire.»
«Che cosa devo fare, io?» ella chiese.
«Limitarsi ad attendere» rispose. «Attenda.»
Ed era tutto quello che si poteva dire.
15
Fara lavorava. Non aveva altro da fare, e spesso pensava che ormai avrebbe continuato a lavorare fino al giorno della morte. Che sciocco era stato - mille volte sciocco, diceva a se stesso - a sperare ancora che un giorno Cayle entrasse nell'officina e dicesse: "Padre, ho imparato la lezione. Se potrai mai perdonarmi, insegnami il lavoro, e poi potrai ritirarti a un ben meritato riposo".
Fu il 26 agosto che il telestato si mise a ronzare, subito dopo che Fara aveva consumato la colazione.
«Chiamata a carico del destinatario» disse l'apparecchio. «Chiamata a carico del destinatario.»
Fara e Creel si fissarono. «Eh» disse infine Far£ «una chiamata a carico del destinatario, per noi?»
Dall'espressione cupa di Creel poteva intuire il pensiero che la moglie aveva in mente. Mormorò: «Quel maledetto ragazzo.»
Ma provò sollievo. Straordinario: provava sollievo. Cayle cominciava ad apprezzare il valore dei genitori. Accese lo schermo: «Chiamata accettata» disse.
Il viso che apparve sullo schermo aveva le guance cascanti, le sopracciglia cespugliose e apparteneva a uno sconosciuto. Disse:
«Qui è Clark Pearton della Quinta Banca di Ferd. Abbiamo ricevuto una tratta a vista su di lei per l'ammontare di diecimila crediti. Con le spese e i bolli governativi, la somma richiesta ammonta a dodicimilacento crediti. Paga subito o viene a pagarla oggi pomeriggio?»
«M-ma... m-ma...» disse Fara. «Chi...» S'interruppe, accorgendosi che l'uomo dalle guance cascanti diceva qualcosa su un pagamento effettuato a Cayle Clark, quella mattina, in base a richiesta urgente. Alla fine, Fara ritrovò la voce:
«Ma la banca» protestò «non aveva il diritto di pagare quel denaro senza la mia autorizzazione...»
La voce lo interruppe, fredda: «Dobbiamo allora informare la nostra sede centrale che il denaro è stato ottenuto in base a false assicurazioni? Naturalmente sarà emesso immediatamente un ordine d'arresto per suo figlio.»
«Aspetti... aspetti...» Fara parlò senza capire. Si era accorto che Creel era accanto a lui, e scuoteva vigorosamente la testa in segno di diniego. Era pallida, e la sua voce era rotta e addolorata, mentre diceva:
«Fara, lascialo perdere. Con noi ha chiuso. Dobbiamo essere altrettanto duri. Lascialo perdere.»
Le parole toccavano le orecchie di Fara senza fare presa. Non gli pareva che rientrassero in un disegno definito. Disse: «Io... io non ho... E se pagassi... a rate?»
«Se vuole un prestito» disse Clark Pearton «saremmo naturalmente lieti di discutere la cosa. Potrei dire che quando è arrivata la tratta, abbiamo controllato la sua situazione, e siamo pronti a prestarvi undicimila crediti a scadenza indefinita con ipoteca sulla sua officina. Ho qui i moduli, e se lei è d'accordo, passeremo la chiamata sul circuito di registrazione e potrà firmare immediatamente.»
«Fara, no!»
L'impiegato proseguì: «Gli altri millecento crediti, però, dovranno essere pagati in contanti. Accetta?»
«Certo, certo, naturalmente. Ne ho duemilacin...» ma s'arrestò di colpo, trangugiando. Poi: «Certo, accetto.»
Completata la transazione, Fara si girò verso la moglie. Dalla profondità dello stupore e dell'offesa, gridò: «Cosa intendevi dire, standomi vicino per ammonirmi di non pagare? Hai sempre detto che sono io il responsabile del fatto che è quello che è. Inoltre, non sappiamo perché gli servisse il denaro. Ha detto che era una cosa urgente.»
Creel disse con voce bassa e lontana: «In un'ora ci ha spogliato dei nostri risparmi. Deve averlo fatto deliberatamente, pensando che siamo due vecchi sciocchi che non avrebbero esitato a pagare.»
«Tutto quello che capisco» la interruppe Fara «è che ho salvato dal disonore il nostro nome.»
Il suo alto senso di avere compiuto giustamente il proprio dovere durò fino a metà del pomeriggio, quando giunse l'ufficiale giudiziario di Ferd a prendere possesso del negozio.
«Ma cosa...» cominciò Fara.
L'ufficiale giudiziario disse: «La società Officine Riparazioni Atomiche Automatiche ha rilevato dalla banca il suo prestito e chiude la sua officina.»
«È illegale» disse Fara. «Mi rivolgerò al tribunale.» Pensava confusamente: "Se mai l'imperatrice lo venisse a sapere, lei... lei...".
Il tribunale era un edificio grigio e massiccio; e Fara si sentì sempre più freddo e sempre più vuoto a ogni momento che passava, mentre percorreva i suoi grigi corridoi. A Glay, la decisione di non affidarsi alle mani di un avvocato gli era parsa saggia. Laggiù, in quegli enormi atri e in quelle sale gigantesche, gli parve una chiara follia.
Tuttavia riuscì a descrivere l'azione criminale della banca, la quale aveva dapprima dato il denaro a Cayle, poi aveva passato la cambiale al suo maggior concorrente; a quanto pareva, subito dopo ch'egli l'aveva firmata. Terminò con: «Sono certo, Vostra Eccellenza, che l'imperatrice non approverebbe simili procedure nei riguardi di onesti cittadini.»
«Come osa» disse la fredda voce del magistrato che sedeva dietro il banco «usare il nome della Sua Sacra Maestà a sostegno del suo crasso interesse?»
Fara rabbrividì. Il senso di essere intimamente un membro della grande famiglia umana dell'imperatrice cedette a un brivido di freddo e alla vasta immagine mentale di dieci milioni di tribunali gelidi come quello, e delle miriadi di uomini malevoli e spietati - come quello - che stavano tra l'imperatrice e il suo suddito fedele, Fara. Pensò, appassionatamente: "Se l'imperatrice sapesse ciò che sta accadendo qui, l'ingiustizia con cui mi trattano, lei avrebbe...".
L'avrebbe fatto davvero?
Scacciò dalla mente quel terribile dubbio... uscì dalla propria fantasticheria, con un sussulto, e udì il giudice che diceva:
«L'appello del querelante viene rifiutato, con spese di giudizio assommanti a settecento crediti, da dividersi tra la Corte e l'avvocato difensore in proporzione di cinque a due. Si provveda perché il querelante non lasci il tribunale finché le spese di giudizio non siano state pagate. Un'altra causa.»
L'indomani, Fara si recò da solo a trovare la madre di Creel. Prima cercò di lei al Ristorante del Contadino, ai margini del villaggio. Il locale, notò con soddisfazione al pensiero del flusso continuo di denaro che vi convergeva, era già mezzo pieno, benché non fosse ancora mezzogiorno. "Ma la signora non c'è, provi al negozio di alimentari."
La trovò nel retrobottega del negozio, mentre controllava la pesa del grano. La donna dal viso duro ascoltò la sua storia senza proferire parola. Poi disse, brusca: «Non posso proprio, Fara. Anch'io devo ricorrere a prestiti della banca per i miei affari. Se cercassi di rimetterti in piedi, la gente della Riparazioni Atomiche Automatiche si metterebbe contro di me.
«Inoltre, sarei una sciocca se prestassi denaro a un uomo che permette a un cattivo figlio di portargli via una fortuna. Un uomo simile non ha alcun senso pratico. E non voglio darti un lavoro perché sono contraria ad assumere parenti come impiegati.» E terminò: «Di' a Creel di venire ad abitare con me. Ma non intendo mantenere un uomo. Questo è tutto.»
Fara la fissò per qualche tempo, sconsolato, mentre la donna continuava in tutta calma a controllare i dipendenti che azionavano le vecchie bilance, non più accurate. Per due volte la sua voce echeggiò nel capannone pieno di polvere, ogni volta con un: «Questa supera il peso, almeno un grammo. Bada alla tua macchina!»
Sebbene la donna gli volgesse la schiena, Fara si accorgeva che era ancora consapevole della sua presenza. Infine la madre di Creel si voltò con un movimento brusco e disse: «Perché non vai al negozio d'armi? Non hai nulla da perdere, e non puoi continuare così.»
Fara allora uscì, annientato. Dapprima il suggerimento di comprare una pistola e di commettere suicidio non aveva per lui alcuna reale validità. Ma si sentiva estremamente offeso dal fatto che fosse stata la suocera a suggerirglielo. Uccidersi? Era ridicolo. Era ancora giovane, si avvicinava ora ai cinquanta. Se ne avesse avuto la possibilità, con le sue mani abili avrebbe strappato una modesta agiatezza anche ora, in un mondo in cui le macchine automatiche premevano da ogni lato. C'era sempre posto per un uomo capace di fare bene il suo lavoro. La sua intera vita si era basata su quella convinzione.
Quando giunse a casa, trovò Creel intenta a preparare i bagagli. «È la cosa più sensata da fare» gli disse. «Affitteremo la casa e andremo ad abitare in camere ammobiliate.»
Lui le riferì l'offerta di sua madre di prenderla in casa, studiandola in viso mentre le parlava. Creel alzò le spalle.
«Le ho detto di no già ieri» rispose, pensosa. «Mi chiedo perché ne abbia accennato con te.»
Fara si avvicinò rapidamente alla grande finestra sulla facciata della casa: quella che dava sul giardino con i fiori, la vasca, le rocce. Cercò di raffigurarsi Creel lontana dal suo giardino, dalla casa in cui aveva passato due terzi della vita, Creel che abitava in stanze d'affitto.
E capì che cosa avesse inteso dire sua madre. C'era ancora una speranza. Attese che Creel fosse salita al piano superiore, e poi chiamò Mei Dale al telestato.
Il viso grasso del sindaco assunse un'espressione d'inquietudine quando vide chi era. Ma ascoltò solennemente, e infine disse:
«Spiacente, il consiglio non presta denaro. E tanto vale che le dica una cosa, Fara... e tenga bene a mente, io non ho nulla a che vedere con questo... ma non può più avere una licenza per un'officina.»
«C-come?»
«Mi spiace!» Il sindaco abbassò la voce. «Senta, Fara, ascolti il mio consiglio e si rechi al negozio d'armi. Quei posti hanno la loro utilità.»
Ci fu uno scatto, e Fara rimase seduto a fissare la superficie vuota dello schermo visivo.
Così, non rimaneva che la morte!
16
Gli occorsero due mesi di segregazione in una stanza per decidersi. Attese che la strada fosse deserta, poi attraversò il viale, oltrepassò alcuni giardini fioriti, e giunse alla porta del negozio d'armi. Per un attimo temette che la porta non si aprisse, ma essa invece si spalancò, senza sforzo. E mentre dall'oscurità del vestibolo passava all'interno del negozio vero e proprio, vide che l'uomo dai capelli argentei era seduto in un angolo, intento a leggere al chiarore di una lampada assai luminosa.
Il vecchio sollevò lo sguardo, mise via il libro e si alzò in piedi.
«Il signor Clark» disse tranquillamente. «Che cosa possiamo fare per lei?»
Un debole rossore salì alle guance di Fara. Aveva sperato di non dover soffrire l'umiliazione di essere riconosciuto. Ma ora che il suo timore si era avverato, si tenne stretto ancor più ostinatamente al proposito. La cosa importante, nel suo suicidio, era che non rimanesse nulla che Creel dovesse far seppellire a un costo elevato. Né il coltello né il veleno avrebbero rispettato quella condizione.
«Desidero una pistola» disse Fara «che possa arrivare a disintegrare un corpo di un metro e ottanta di dimensione, in un colpo solo. Ne avete una?»
Il vecchio si diresse a una vetrina d'esposizione e ne trasse un massiccio revolver che luccicava di tutti i tenui colori della plastica Ordina, l'inimitabile. L'uomo disse, con voce precisa:
«Noti le flange sulla canna, sono solo piccole sporgenze. Così, questo modello è l'ideale per portarlo in una fondina da ascella, sotto la giacca. Lo si può estrarre assai rapidamente, poiché, una volta raccordato bene, esso balza nella mano del proprietario quando vuole impugnarlo.
«In questo momento è raccordato sulla mia persona. Osservi mentre lo rimetto nella fondina e...»
La velocità con cui la pistola uscì dal fodero era stupefacente. Le dita del vecchio si mossero; e la pistola, da più di un metro di distanza, fu subito nella sua mano. Non si poté scorgere il movimento. Fu come la porta, quella sera in cui era scivolata dalla stretta di Fara ed era andata a sbattere senza far rumore in faccia al poliziotto Jor. Istantaneo.
Fara, che, mentre il vecchio era intento a spiegare, aveva aperto le labbra come per dirgli che non c'era bisogno di illustrargli le altre caratteristiche della pistola, a eccezione dell'unica da lui richiesta, le richiuse. Fissò l'arma, affascinato. E una parte della meraviglia di quanto stava accadendo fece presa sulla sua mente e sul suo corpo.
Aveva visto le armi dei soldati e le aveva anche impugnate, e si trattava di semplici oggetti di metallo o di plastica che venivano usati goffamente, al pari di ogni altra sostanza materiale: non erano affatto simili a quella, non erano animati da una stupefacente vita propria, non balzavano con un intimo desiderio di assistere con tutto il loro superbo potere la volontà del loro padrone.
Con un sobbalzo, Fara ricordò lo scopo con cui era giunto nel negozio. Fece un mezzo sorriso e disse: «Tutto questo è molto interessante. Ma cosa mi dice del raggio che può scaturire da essa?»
Il vecchio disse con calma: «Allo spessore di una matita, il raggio può perforare qualsiasi corpo, a eccezione di certe leghe del piombo, fino a quattrocento metri. Con un adeguamento della bocca d'uscita, può disintegrare un oggetto di diametro un metro e ottanta, a cinquanta metri o anche meno. Questa vite serve per la regolazione.»
Indicò un piccolo dispositivo, posto sulla canna stessa. «Lo ruoti a sinistra per allargare il raggio, a destra per restringerlo.»
Fara disse: «Acquisto la pistola. Quanto costa?»
Vide che il vecchio lo osservava pensoso. L'uomo disse infine, con lentezza: «In un'occasione precedente le ho già spiegato i nostri regolamenti, signor Clark. Lei li ricorda, ovviamente?»
«Eh?» disse Fara, e s'interruppe, a occhi spalancati. «Vuole dire» annaspò «che quelle regole sono davvero valide? Che non sono...» Scosso, con un brivido, terminò: «Desidero solo una pistola che possa sparare per difesa personale, ma che io possa volgere contro di me se mai dovessi... o volessi... farlo.»
«Oh, suicidio!» disse il vecchio. Fissò Fara come se una grande comprensione si fosse accesa in lui. «Mio caro signore, noi non abbiamo niente da ridire sul fatto che si uccida in un qualsiasi momento. È un suo diritto personale, in un mondo in cui i diritti diminuiscono di anno in anno. E per quanto riguarda il prezzo di quest'arma, quattro crediti.»
«Quattro... solo quattro crediti!» disse Fara.
Era stupito; la sua mente si era allontanata dal suo oscuro proposito. Ma come!? La sola plastica valeva... e tutta la pistola, con la sua lavorazione fine e intricata... venticinque crediti sarebbero stati pochi. Provò un moto d'interesse. Il mistero dei negozi d'armi gli apparve d'improvviso altrettanto vasto e importante quanto quello del suo oscuro destino. Ma il vecchio aveva ripreso a parlare:
«E adesso, se volesse togliersi la giacca, potremmo metterle il fodero.»
Automaticamente, Fara obbedì. Era vagamente strano il pensiero che tra pochi secondi sarebbe uscito di lì, con tutto il necessario per uccidersi, e che ormai non c'era il più piccolo ostacolo tra lui e la sua morte. Stranamente, era deluso. Non poteva spiegare la sensazione, ma chissà come, nel fondo della sua mente, c'era la speranza che i negozi d'armi potessero, sì, potessero... che cosa?
Già, che cosa? Fara sospirò. E di nuovo udì la voce del vecchio:
«Forse preferirebbe uscire dalla porta laterale. È meno in vista di quella sulla facciata.»
In Fara non c'era alcuna resistenza. Si accorgeva delle mani dell'altro, sul suo braccio, che lo guidavano a metà; e poi il vecchio schiacciò uno dei numerosi pulsanti che stavano sulla parete... dunque, ecco come facevano... e comparve la porta. Al di là dell'apertura poteva scorgere dei fiori. Senza fare parola, si diresse verso di essi. Fu all'esterno quasi ancor prima di accorgersene.
17
Per un istante, Fara rimase immobile sullo stretto, nitido sentiero, cercando di afferrare il carattere definitivo, estremo, della sua situazione. Ma nella sua mente non si affacciava alcun pensiero: soltanto la constatazione che intorno a lui c'erano molte persone. La sua mente era come un tronco d'albero che galleggiava senza direzione sulle onde di un fiume, di notte. Attraverso quel buio si fece strada la consapevolezza di qualcosa di strano. Una sensazione che era presente al fondo del suo cervello quando volle voltarsi a sinistra, per portarsi davanti al negozio d'armi. L'impressione di poco prima si trasformò in un vivo senso di sorpresa. Non si trovava affatto a Glay, e il negozio d'armi non era più al suo posto.
Una decina di persone passò in fretta davanti a lui, unendosi a una lunga fila di altri individui, poco lontano. Ma Fara non ne avvertiva la presenza, non avvertiva la singolarità di ciò che facevano. La sua mente, la sua vista, il suo stesso essere si concentravano su una macchina che sorgeva nel punto in precedenza occupato dal negozio d'armi.
Il suo cervello si sforzò di abbracciare la grandiosità di quell'oggetto enorme, ricoperto di metallo opaco, che si stendeva davanti a lui, sotto un sole estivo, sullo sfondo di un cielo altrettanto azzurro quanto un remoto mare tropicale.
La macchina si ergeva a sfidare il cielo: cinque grandi piani di metallo, ciascuno alto una trentina di metri, e quei centocinquanta metri superbamente aerodinamici terminavano in un picco di luce, un pinnacolo che s'innalzava di un'altra cinquantina di metri e che gareggiava in luminosità con il sole.
Ed era davvero una macchina, e non un palazzo, poiché l'intero piano inferiore splendeva di luci abbaglianti, in prevalenza verdi, ma punteggiate di verde più vivo e, di tanto in tanto, anche di azzurro e di giallo. Due volte, mentre Fara osservava, una luce verde che stava di fronte a lui si trasformò in rosso senza soluzioni di continuità.
Il secondo piano ardeva di luci bianche e rosse, sebbene il numero di tali luci fosse solo una minima parte di quelle del primo piano. La terza sezione aveva sulla superficie opaca una serie di luci azzurre e gialle; luccicavano debolmente qui e là su tutta la sua vasta area.
Il quarto piano era costituito da una serie di parole, che portarono finalmente un po' di comprensione. L'intera scritta diceva:
BIANCO: |
NASCITE |
ROSSO: |
MORTI |
VERDE: |
VIVENTI |
AZZURRO: |
IMMIGRAZIONI SULLA TERRA |
GIALLO: |
EMIGRAZIONE |
Il quinto piano era un'unica insegna, che dava finalmente la spiegazione completa:
SISTEMA SOLARE |
11 474 463 747 |
TERRA |
11 193 247 361 |
MARTE |
97 298 604 |
VENERE |
141 053 811 |
LUNE |
42 863 971 |
I numeri cambiavano continuamente, anche sotto lo sguardo di Fara, aumentando o diminuendo rispetto al loro valore iniziale. La gente moriva, nasceva, si trasferiva su Marte e Venere, sulle lune di Giove, alla Luna; altri uomini ne tornavano e ogni minuto atterravano, sulle decine e decine di spazioporti. La vita progrediva nella sua maniera gigantesca... e laggiù ce n'era la testimonianza.
«Meglio mettersi in fila» disse una voce cordiale, accanto a Fara. «Occorre un certo tempo per risolvere un caso individuale, da quanto ne so.»
Fara fissò l'uomo, senza capire. Aveva l'impressione di avere udito parole prive di significato. «In fila?» cominciò a dire, poi s'interruppe con un grido strozzato che rischiò di soffocarlo.
Cominciò ad andare avanti, ciecamente, passando innanzi al giovanotto che gli aveva rivolto la parola, e pensando confusamente che doveva essere successo qualcosa di simile al poliziotto Jor, quando era stato trasportato su Marte. Poi un'altra delle parole del compagno fece presa nella sua mente.
«Caso?» disse Fara, violentemente. «Caso individuale!»
L'uomo, un giovanotto simpatico, dal volto grasso e dagli occhi azzurri, che dimostrava circa trentacinque anni, lo fissò con aria strana.
«Saprà certamente perché è qui» disse. «Certo non l'avrebbero fatta venire, se non avesse un problema di qualche tipo che i tribunali dei negozi d'armi risolveranno per lei. Non c'è altro motivo per venire al Centro Informativo.»
Fara continuò a camminare, poiché ormai era dentro la fila: una linea di uomini che si muoveva veloce e che lo portava inesorabilmente a girare in curva intorno alla macchina e che lo conduceva a una porta che immetteva all'interno della grande struttura metallica.
Dunque, era anche un edificio, e non solo una macchina.
"Un problema" pensava. Certo, aveva un problema. Un problema disperato, insolubile, irrimediabilmente complicato, che affondava le radici nella struttura fondamentale della civiltà imperiale, cosicché l'intero mondo avrebbe dovuto rovesciarsi su se stesso per risolverlo.
Con sorpresa si accorse di essere giunto all'ingresso. Pensò con timore: "Fra pochi secondi sarò irrevocabilmente impegnato... in che cosa?".
18
All'interno del Centro Informativo dei negozi d'armi, Fara si avviò lungo un corridoio ampio e luminosissimo. Alle sue spalle, il giovanotto disse:
«C'è un corridoio laterale praticamente vuoto. Andiamo.»
Fara lo seguì, tremando. Notò che alla fine del passaggio c'era una decina di giovani donne, che, sedute alla scrivania, interrogavano altrettanti uomini. Si fermò davanti a una delle ragazze. Era più vecchia di quanto non gli fosse parso a prima vista, trent'anni e più, ma aveva un aspetto piacente, vivace. Sorrise con simpatia, ma impersonalmente, e disse:
«Il suo nome, per favore?»
Le diede il nome, e mormorò qualcosa sul fatto che proveniva dal villaggio di Glay. La donna disse:
«Grazie. Occorrerà qualche istante per ottenere il suo incartamento. Vuole accomodarsi?»
Non si era accorto della sedia. Vi si lasciò cadere, e il suo cuore batteva così tempestosamente ch'egli si sentiva soffocare. Nella sua mente non si formulava alcun pensiero, e neppure una vera e propria speranza; soltanto un'intensa, sconvolgente emozione. D'improvviso comprese che la ragazza gli parlava; ma solo una parte di ciò che diceva riusciva a oltrepassare lo schermo di tensione che si era formato nella mente di Fara.
«... Centro Informativo è... in realtà... un ufficio statistico. Ogni persona nata... qui registrata... il suo grado di istruzione, cambiamento d'indirizzo, occupazione... i punti salienti della sua vita. L'intero complesso si basa su... combinazione di collegamenti non autorizzati e insospettati con... la Camera Imperiale di Statistica e... per mezzo di agenti... ogni comunità.»
Fara aveva l'impressione di perdere informazioni vitali, e che se soltanto avesse potuto costringere la sua attenzione ad ascoltare, avrebbe potuto sapere tutto. Cercò di farlo, ma non gli fu possibile. I suoi nervi si agitavano troppo pazzamente perché potesse mettere a fuoco il cervello sulle cose che la ragazza stava dicendo. Cercò di parlare, ma prima che potesse forzare le proprie labbra tremanti, si udì uno scatto metallico, e una piastra scura e sottile scivolò sul piano della scrivania della ragazza. Lei la prese e la esaminò. Dopo un istante, pronunciò qualche parola in un microfono, e in breve tempo altre due piastre si materializzarono nell'aria e caddero sulla scrivania. Le studiò con volto impassibile, poi alzò gli occhi.
«Le interesserà sapere» disse «che suo figlio Cayle è su Marte.»
«Eh?» disse Fara. Fece per alzarsi dalla sedia, ma prima che potesse dire qualcosa, la donna aveva ripreso a parlare, con fermezza:
«Devo informarla che i negozi d'armi non intraprendono azioni contro singoli individui. Non ci occupiamo della correzione morale. Essa deve sorgere naturalmente dall'individuo e dalla popolazione nel suo complesso... e ora, se vuole darmi un breve resoconto del suo problema, per l'archivio del tribunale...»
Madido di sudore, Fara si abbandonò di nuovo sulla sedia; disperatamente, avrebbe voluto altre notizie di Cayle. Cominciò:
«Ma... ma cosa... e come...» Poi riprese il dominio di se stesso, e a bassa voce descrisse quanto gli era accaduto. Quando terminò, la ragazza disse:
«Ora si recherà nella Stanza dei Nomi; attenda che compaia il suo nome, e quando lo vedrà apparire si rechi direttamente alla Stanza 474. Ricordi: 474... e ora, se ha finito, altre persone aspettano...»
La donna sorrideva educatamente, e Fara si allontanò prima ancora di accorgersi di essersi alzato. Fece per voltarsi a chiedere qualcosa, ma c'era già un vecchio che si stava sedendo nel posto da lui lasciato. Si affrettò ad allontanarsi lungo un grande corridoio, e notò come dalla porzione che si stendeva davanti a lui provenissero strani accessi di suono.
Aprì la porta, vigorosamente, e i suoni lo colpirono con il pieno impatto di un maglio. Era un suono così colossale, incredibile, che egli si arrestò sulla soglia, fece per ritirarsi. Poi rimase immobile per qualche tempo, battendo gli occhi e cercando di mettere un po' di senso in una confusione visiva che rivaleggiava in grandezza con quell'uragano di suoni.
Uomini, uomini, uomini dappertutto; uomini a migliaia in un auditorio lungo e ampio, fittamente seduti in file di poltrone, oppure intenti a camminare con aria inquieta lungo le corsie, e tutti occupati a fissare con interesse frenetico un lungo tabellone suddiviso in quadrati, su ciascuno dei quali era segnata una lettera dell'alfabeto.
L'enorme tabellone con la sua lista di nomi occupava tutta la lunghezza della stanza. La Stanza dei Nomi, pensò Fara, scosso, mentre si lasciava cadere su un sedile. Il suo nome sarebbe comparso nella lettera "C".
Era come sedere a un tavolo da poker senza limite di puntata, e osservare le carte, preziose come gemme, che si voltavano a una a una. Era come giocare in Borsa con tutto il mondo come posta, durante un crollo del mercato azionario. Spezzava i nervi, stordiva, lasciava spossati, era affascinante e terribile.
Nuovi nomi continuavano a comparire sui ventisei riquadri del tabellone, e c'erano uomini che gridavano come pazzi e altri che svenivano, e il frastuono era insopportabile; il pandemonio continuava senza interruzioni, in un solo, incredibile fracasso. E a intervalli di pochi minuti si accendeva una grande insegna luminosa che copriva l'intero tabellone, e avvertiva:
ATTENZIONE ALLA VOSTRA INIZIALE
Fara continuò a osservare con attenzione. A ogni secondo gli pareva di non poter resistere un solo istante di più. Avrebbe voluto gridare: "Fate silenzio!" a tutta quella stanza piena d'uomini. Avrebbe voluto alzarsi e mettersi a camminare su e giù per la stanza, ma gli altri che lo facevano venivano rimproverati con grida isteriche. D'improvviso, la cieca barbarie di ciò che stava accadendo sgomentò Fara, che pensò, a fatica: "Non voglio fare la figura dello sciocco. Adesso...".
"Clark, Fara" lampeggiò il tabellone. "Clark, Fara".
Con un urlo, Fara balzò in piedi. «Sono io!» gridò. «Io!»
Nessuno si voltò. Nessuno gli prestò la minima attenzione. Vergognoso, sgusciò via, raggiungendo l'altro estremo della stanza, dove un'interminabile fila di uomini continuava ad affollarsi entro un corridoio d'uscita. Il silenzio, in quel lungo corridoio, era altrettanto sconvolgente quanto il rumore che si lasciava alle spalle. Era difficile concentrarsi sull'idea di un numero, il 474. Era impossibile immaginare cosa vi si nascondesse... 474.
La stanza era piccola. Conteneva soltanto una modesta scrivania da ufficio e due sedie. Sulla scrivania c'erano sette pile ordinate di pieghevoli, e ciascuna pila aveva un colore diverso. Le pile erano disposte in fila, davanti a una larga sfera di vetro opalino.
La sfera si accese debolmente, e dalla sua profondità giunse una voce baritonale che disse:
«Fara Clark?»
«Sì» rispose Fara.
«Prima che venga pronunciato il verdetto sul suo caso» continuò tranquillamente la voce «desidero che prenda un pieghevole dalla pila azzurra. L'elenco le mostrerà la Quinta Banca Interplanetaria nella sua giusta relazione con lei stesso e con il mondo, e le verrà spiegato al momento debito.»
L'elenco, Fara vide, era semplicemente una lista di nomi di grandi ditte. I nomi andavano dall'A alla Z, e ce n'erano circa cinquecento. Nel pieghevole non comparivano spiegazioni; Fara se lo infilò meccanicamente in tasca, mentre dal globo luminoso giungeva nuovamente la voce.
«È stato appurato» disse la voce, pronunciando attentamente le parole «che la Quinta Banca Interplanetaria ha perpetrato ai suoi danni una volgare truffa, e che è inoltre colpevole di sciacallaggio, inganno, ricatto e che si è resa complice in un complotto criminale.
«La banca è entrata in contatto con suo figlio, Cayle, attraverso quello che è comunemente noto come 'sciacallo', ossia un agente la cui occupazione consiste nel trovare giovani uomini e donne che sono in difficoltà finanziarie, ma che hanno genitori che posseggono denaro. Lo sciacallo ottiene per questo servizio una percentuale dell'otto per cento, che viene sempre pagata dalla persona che riceve il denaro in prestito, ossia, in questo caso, suo figlio.
«La banca si è resa colpevole di inganno in quanto i suoi rappresentanti autorizzati l'hanno ingannata sostenendo di avere già pagato a suo figlio la somma di diecimila crediti, mentre erano stati pagati solo mille crediti, e questi soltanto dopo che era stata ottenuta la sua firma.
«Il reato di ricatto nasce dalla minaccia di far arrestare suo figlio sotto l'accusa di avere ottenuto un prestito in base a false credenziali, minaccia espressa quando ancora nessuna somma di denaro era stata consegnata.
«Il complotto consiste nell'avere immediatamente trasmesso al suo concorrente la cambiale.
«La banca viene pertanto multata di una somma pari a tre volte quella frodata, vale a dire trentaseimilatrecento crediti. Non rientra nelle nostre intenzioni, Fara Clark, che lei sappia come tale somma sia stata ottenuta. Le basti sapere che la banca la paga, e che metà della multa viene assegnata dai negozi d'armi al proprio tesoro. L'altra metà...»
Si udì un plop; un pacchettino ben ordinato di biglietti di banca cadde sul tavolo.
«Per lei» disse la voce. Fara, con dita tremanti, si fece scivolare il pacchetto nella tasca della giacca. Occorse il suo massimo sforzo mentale e fisico per concentrarsi sulle parole che seguirono.
«Non deve con questo pensare che i suoi guai siano finiti. Il ripristino della sua officina per la riparazione di motori, a Glay, richiederà forza e coraggio. Sia discreto, coraggioso e deciso, e non potrà essere vinto. Non esiti a usare la pistola che ha acquistato in difesa dei suoi diritti. Il piano di azioni che dovrà seguire le verrà spiegato. E ora, esca dalla porta che sta davanti a lei.»
Fara riprese la padronanza di sé, con uno sforzo, aprì la porta e uscì. Era una stanza in penombra, e già a lui familiare, quella in cui si ritrovò, e c'era un uomo dai capelli argentei e dal viso sorridente che si alzò dalla poltrona in cui prima leggeva e che si diresse verso di lui, sorridendo con espressione grave.
La stupenda, fantastica, inebriante avventura era terminata. Fara era ritornato nel negozio d'armi di Glay.
19
Non riusciva ancora a riaversi dallo stupore di ciò che gli era accaduto. La grande e affascinante organizzazione dei negozi d'armi, stabilita nel cuore stesso di una civiltà spietata: una civiltà che in poche settimane lo aveva spogliato di tutto quanto possedesse. Grazie a un atto di volontà, interruppe quel flusso di pensieri ardenti. Con una ruga sulla fronte massiccia, disse:
«Il... giudice...» Fara esitò a dire quel nome, poi si adirò con se stesso a causa della propria esitazione, e riprese «il giudice ha detto che per rimettermi in attività avrei dovuto...»
«Prima di passare a questo argomento» disse il vecchio «desidero che esamini il pieghevole azzurro che ha portato con lei.»
«Pieghevole?» gli fece eco Fara, senza comprendere. Gli occorse un lungo istante per ricordarsi del piccolo opuscolo che aveva preso dal tavolo della stanza 474.
Studiò la lista dei nomi di ditte, e la sua perplessità si accrebbe nel notare che il nome Officine Riparazioni Automatiche Motori Atomici era nella lettera O, e la Quinta Banca Interplanetaria era solo una delle varie grandi banche comprese nell'elenco. Infine Fara sollevò lo sguardo:
«Non capisco» disse. «Sono le ditte contro cui avete dovuto agire?»
L'uomo dai capelli argentei fece un triste sorriso, e scosse il capo. «Non intendevo dire questo. Le ditte elencate sono soltanto una parte degli otto milioni di compagnie che compaiono costantemente sui nostri registri.»
Sorrise nuovamente, senza alcuna allegria. «Tutte queste compagnie sanno che, a causa della nostra presenza, i profitti da loro messi in bilancio non corrispondono affatto alla loro reale situazione contabile. Ciò che non sanno è quale sia realmente la differenza, e, poiché noi desideriamo un aumento generale nella moralità degli affari, e non soltanto un incremento nell'astuzia dei piani escogitati allo scopo di aggirare la nostra azione, preferiamo che continuino a ignorarlo.»
Tacque, e questa volta rivolse a Fara un'occhiata indagatrice. Poi disse: «La singolare caratteristica di tutte le ditte elencate in questa particolare lista è che ciascuna di esse è di totale proprietà dell'Imperatrice Isher.»
E terminò rapidamente: «In vista delle sue passate opinioni su tale argomento, non mi aspetto che lei mi creda.»
Fara rimase completamente immobile. Credeva alle parole dell'uomo dai capelli argentei: lo credeva al di là di ogni ombra di dubbio, totalmente, al di là di ogni possibile ripensamento. La cosa stupefacente, la cosa imperdonabile, era che per tutta la vita aveva visto uomini rovinati marciare verso l'oblio della povertà e della disgrazia... e aveva fatto ricadere il biasimo su di loro.
Fara gemette. «Sono stato pazzo» disse. «Ogni cosa che l'imperatrice e i suoi funzionari facevano era giusta. Non c'era amico, non c'era conoscente, che per me rimanessero tali se non mostravano altrettanta fiducia nello stato delle cose. Suppongo che se ora cominciassi a parlare contro l'imperatrice, sarei evitato con altrettanta rapidità.»
«In nessun caso» disse il vecchio «dovrà dire qualcosa contro Sua Maestà. I negozi d'armi non incoraggeranno mai simili parole, e non appoggeranno mai nessuno che risulti così indiscreto. L'imperatrice non è personalmente colpevole come potrebbe sembrare. Al pari di lei, va, in un certo senso, alla deriva sull'onda della nostra civiltà. Ma non intendo dilungarmi sulla nostra linea di condotta politica. Il periodo peggiore, nelle nostre relazioni con il potere imperiale, fu toccato una quarantina di anni fa, quando tutte le persone che ricevevano aiuto da noi ed erano scoperte venivano uccise in qualche modo. Forse sarà sorpreso di apprendere che suo suocero fu tra coloro che furono assassinati a quell'epoca.»
«Il padre di Greel!» annaspò Fara. «Ma...»
S'interruppe. Un tale afflusso di sangue gli era salito alla testa, che per un istante non riuscì neppure a vedere. «Ma» infine riuscì a dire «ci avevano detto che era fuggito con un'altra donna...»
«Diffondevano sempre qualche storia come questa» disse il vecchio. E Fara non rispose.
L'altro continuò: «Alla fine ponemmo un limite ai loro omicidi, uccidendo le tre persone a partire dall'alto, esclusa la famiglia reale, che avevano dato l'ordine di quel particolare tipo di ritorsioni. Ma non vogliamo che si ripeta lo stesso tipo di azioni sanguinose. E non vogliamo sentir criticare il fatto che tolleriamo molte ingiustizie.
«È importante comprendere che noi non interferiamo nella grande corrente dell'esistenza umana. Noi ripariamo ai torti; agiamo come una barriera tra il popolo e i suoi sfruttatori più spietati. In generale, noi aiutiamo soltanto le persone oneste; questo non vuol dire che non diamo assistenza anche ai meno scrupolosi, ma soltanto nella misura di vendere loro armi... che è però un aiuto notevole, e che è una delle ragioni per cui il governo si affida quasi esclusivamente ai raggiri economici per mantenere il proprio potere.
«Nei duemila anni trascorsi da quando la brillante genialità di Walter S. de Lany ha inventato il processo vibratorio che ha reso possibili i negozi d'armi, e ha enunciato i primi principi della filosofia politica dei negozi stessi, abbiamo visto l'onda del governo oscillare avanti e indietro, tra la democrazia sotto una monarchia dai poteri limitati, e la completa tirannide.
«E abbiamo scoperto una sola cosa: La gente ha sempre il tipo di governo che vuole avere. Quando vuole cambiare, deve cambiarlo. Come sempre, noi rimarremo un nucleo incorruttibile... e intendo queste parole alla lettera: abbiamo una macchina psicologica che non sbaglia mai sul carattere di un uomo... ripeto, un nucleo incorruttibile di idealismo umano, che si dedica ad alleviare i mali che sorgono inevitabilmente sotto qualsiasi forma di governo.
«Ma ora veniamo al suo problema... In realtà si tratta di una cosa assai semplice. Lei dovrà lottare, come sempre ha lottato ogni uomo, fin dall'inizio dei tempi, per ciò che aveva valore per lui, per i suoi giusti diritti. Come sa, quelli delle Riparazioni Atomiche Automatiche hanno portato via tutte le macchine utensili e gli attrezzi, meno di un'ora dopo la chiusura della sua officina. Il materiale è stato trasportato a Ferd, e poi spedito a un grande magazzino sulla costa.
«Noi l'abbiamo recuperato, e con i nostri speciali mezzi di trasporto abbiamo ora rimesso le macchine nella sua officina. Pertanto lei si recherà laggiù, e...»
Fara ascoltò con viso sempre più cupo le istruzioni che gli venivano date. Infine annuì, serrando le mascelle.
«Può contare su di me» disse, conciso. «Sono sempre stato ostinato; e anche se ho cambiato partito, in questo sono ancora uguale a prima.»
20
Quasi tutte le case delle illusioni erano note alla polizia. Ma c'era una legge non scritta che le riguardava. Quando era prevista una retata, il proprietario veniva avvertito. Ma i nomi degli uomini che erano stati imprigionati nel locale dovevano potersi scoprire in qualche cassetto facilmente accessibile, in una scrivania. E nei giorni successivi si controllava l'elenco, confrontandolo con le liste su cui erano registrati i nomi degli indigenti e dei criminali inviati su Venere, Marte e le varie lune.
Gli impresari governativi avevano un insaziabile bisogno di manodopera che lavorasse sugli altri pianeti. E le case, essendo frequentate da donne danarose che non potevano permettersi gli scandali, fornivano un flusso costante di braccia, senza lamentele.
Nei suoi rapporti con le case, la polizia si opponeva unicamente all'idea che "i morti non parlano". Quando infrangevano quest'unica inalterabile regola, i proprietari venivano inesorabilmente processati. Nel corso di migliaia di anni, si era visto che era un metodo efficace per mantenere il vizio entro un importante limite: che la vittima sopravvivesse alle proprie tristi esperienze.
Cayle scese dalla passerella di sbarco e pose piede sul suolo di Marte. E s'immobilizzò. Fu una reazione involontaria. Il terreno era duro come roccia. Il suo gelo oltrepassava la suola delle scarpe, e giungeva in qualche modo a toccare le midolla del suo essere. Con occhi freddi come ghiaccio osservò la squallida città di Shardl. E questa volta un pensiero gli attraversò la mente: un odio così violento da farlo tremare. Una decisione così forte ch'egli poté sentire trasformarsi in acciaio il ghiaccio che c'era dentro di lui.
«Muoviti, tu...» Un bastone lo pungolò alla spalla. Uno dei soldati che dirigevano lo sbarco della lunga fila di uomini emaciati latrò quest'ordine, e la sua voce aveva uno strano timbro vuoto, in quell'aria rarefatta.
Cayle non si prese la briga di voltarsi. Si mosse: questa fu la sua sola reazione all'insulto e allo spintone. Si mise a camminare, mantenendo il proprio posto nella fila; a ogni passo che faceva, il gelo del terreno penetrava sempre più in profondità nel suo essere. Ora poteva sentire nei polmoni il gelo dell'aria. Davanti a lui, altri uomini cominciarono a provarne il morso. Si misero a correre. Altri ancora gli passarono davanti, con il respiro affannoso, con gli occhi rovesciati in modo da mostrare tutto il bianco, poiché il loro corpo rispondeva goffamente a quell'ambiente di gravità ridotta. Il terreno era scabroso e accidentato; coloro che cadevano lanciavano urla di dolore quando le punte taglienti li ferivano. Sangue umano macchiava il suolo di Marte, duro come il ferro ed eternamente gelato.
Cayle continuò a camminare senza badare agli altri, disprezzando in cuor suo coloro che avevano perso la testa. Li avevano avvertiti di fare attenzione alla differenza di gravità. E il grande campo di raccolta, l'edificio di materia plastica, era solo a mezzo chilometro di distanza: il freddo tra l'astronave e il campo era penetrante, ma sopportabile.
Quando giunse al campo, aveva la carne intirizzita, i piedi insensibili. All'interno faceva caldo, e Cayle si diresse lentamente fino a un punto dell'edificio da cui si poteva vedere la parte principale della città.
Shardl era una città di minatori. Sorgeva su un pianoro privo di asperità che cominciava solo ora, in qualche punto, a fiorire del verde di giardini riscaldati dal calore atomico. Il resto, poche chiazze di arbusti disperse qua e là, non faceva che porre maggiormente in risalto la desolazione, pressoché assoluta, di ogni orizzonte visibile.
Vide che gli altri erano intenti a studiare gli avvisi affissi a una delle pareti. Si avvicinò e lesse ciò che riuscì a vedere di un manifesto. Diceva:
OCCASIONE
Cayle si fece strada fino a raggiungerlo, e così poté leggere anche le altre parole. Poi sorrise e si allontanò.
Dunque, volevano persone che acquistassero una casa colonica su Marte. Bastava che accettaste di rimanere per quindici anni, e: "La Sua Graziosa Maestà, Innelda di Isher, fornirà una casa colonica a riscaldamento atomico, pienamente attrezzata. Nessun anticipo, pagamento con mutuo quarantennale".
E l'offerta terminava, insinuante: "Recatevi immediatamente all'Ufficio Demaniale, firmate la richiesta... e non dovrete fare neppure un minuto di lavoro alle miniere".
Cayle rimase insensibile all'appello. Aveva sentito parlare di quel sistema per colonizzare il freddo pianeta Marte e il rovente pianeta Venere. Alla fine, ogni ettaro di terreno sarebbe stato occupato, e il pianeta sarebbe stato sottoposto al benefico influsso dell'energia atomica. E così, nel corso dei millenni, gli uomini avrebbero finito per sgelare tutti i mondi ghiacciati e inabitabili del sistema solare, e avrebbero raffreddato i deserti brucianti di Venere e Mercurio. Uomini che, consumando la propria vita a lavorare sulla progenie meno attraente del loro sole, avrebbero creato dei ragionevoli facsimili della Terra, verdeggiante e lontana, da cui erano giunti.
Questo in teoria. Nei giorni pigri, spesi alla scuola pubblica, in cui aveva letto e ascoltato la storia della colonizzazione, non si era mai immaginato che un giorno si sarebbe trovato laggiù di persona, intento a guardare il mondo di Marte illuminato da una debole luce solare: laggiù di persona,preso in un processo troppo spietato perché un uomo con il suo tipo di educazione potesse sottrarvisi.
Ormai non provava più odio verso il padre. L'odio era uscito da lui, era finito nelle nebbie del passato, in quel mondo fatto di niente dove erano finite le sue illusioni. Quel povero sciocco: ecco qual era adesso il suo pensiero. Forse era perfino un bene, che alcune persone non giungessero mai a comprendere le realtà della vita nell'impero di Isher.
Il suo problema personale si era risolto in un modo semplice ed efficace. Prima aveva paura. Ora non l'aveva più. Prima era onesto, cosa abbastanza strana. Ora non lo era più. Cioè, non lo era più in un certo senso. La cosa dipendeva dal suo modo individuale di vedere la vita, e nella fattispecie di vedere fino a che punto avrebbe accettato la teoria che un essere umano deve essere abbastanza forte per affrontare le necessità della propria epoca. Cayle Clark intendeva affrontarle fino in fondo.
Un uomo come quello che Cayle era diventato non sarebbe rimasto a lungo su Marte. Intanto, però, non avrebbe dovuto firmare nulla che potesse intralciargli la libertà di movimento. Doveva essere cauto, ma afferrare immediatamente le occasioni, e pronto al tutto per tutto.
Dietro di lui, una voce disse in tono mellifluo: «Mi rivolgo a Cayle Clark, un tempo del villaggio di Glay?»
Cayle si voltò lentamente. Non si era aspettato che l'occasione giungesse così in fretta. L'uomo che stava davanti a lui era di bassa statura. Indossava un cappotto di stoffa costosa, e, cosa assai visibile, non era certo una persona che fosse giunta con l'astronave, nonostante il suo aspetto vizzo e insignificante. L'uomo riprese a parlare:
«Io sono il locale... ehm, rappresentante della Quinta Banca. Forse potremmo aiutarla a uscire da questa incresciosa situazione.»
Aveva l'aspetto di un rospo: la faccia magra era incorniciata in un alto colletto. I suoi occhi, simili a due minuscoli semi neri, si protendevano con una luce opaca, ma avida.
Cayle si ritrasse involontariamente: non per la paura, ma per il disgusto. C'era una donna che veniva alla casa, una donna adorna di gioielli e pellicce... con una faccia come quella, occhi come quelli. E tutte le frustate che gli erano state somministrate sulla schiena nuda, mentre la donna continuava a guardare con occhi avidi, non avevano infranto la sua volontà di non avere nulla a che fare con lei.
Occorse a Cayle un vero e proprio sforzo di mente per comprendere che non era necessario equiparare le due persone, o credere che avessero qualcosa in comune.
«Le interessa?» chiese l'individuo.
Cayle fece per annuire. E poi una parola, che in precedenza non aveva bene afferrato, gli ritornò alla mente.
«Che banca ha detto?»
Quella caricatura umana sorrise con l'espressione di chi sa di portare doni preziosi.
«La Quinta Banca» disse. «Lei ha effettuato un deposito alla nostra sede di Città Imperiale, circa un mese fa. Nel corso di una normale indagine sulla provenienza di ogni nuovo cliente, abbiamo scoperto che stava per raggiungere Marte a causa di circostanze spiacevoli. Pertanto vorremmo mettere a sua disposizione il nostro ufficio prestiti personali.»
«Comprendo» disse Cayle, prudentemente.
I suoi occhi, attenti e vigili, effettuarono un altro esame, maggiormente dettagliato, di quel rappresentante della grande banca. Ma non ravvisarono nulla di nuovo, nulla che potesse ispirare fiducia. Eppure non aveva intenzione di porre termine alla conversazione.
«E che cosa, di preciso, farebbe la banca per me?» egli chiese, tranquillamente.
L'uomo si schiarì la gola. «Lei è il figlio di Fara e Creel Clark?» chiese in tono d'importanza.
Cayle, dopo un istante di esitazione, ammise tale parentela.
«Desidera ritornare sulla Terra?»
Non ci fu esitazione nella sua risposta. «Certo» disse.
«La tariffa base del viaggio» disse l'uomo «sono seicento crediti quando la distanza tra Marte e la Terra permette che il tragitto si compia in ventiquattro giorni. Quando la distanza è superiore, c'è un costo extra di dieci crediti al giorno. Lei probabilmente lo sapeva già.»
Cayle non lo sapeva. Ma aveva già pensato che il salario delle miniere, venticinque crediti la settimana, non avrebbe permesso di accumulare rapidamente i mezzi per ritornare sulla Terra. Con una stretta al cuore, capì fino a che punto un uomo privo di risorse potesse rimanere esiliato su un altro pianeta.
Ed ebbe un'idea di ciò che avrebbe fatto seguito alle parole di quel rappresentante della banca.
«La Quinta Banca» disse l'uomo, in tono magniloquente «è disposta a prestarle la somma di mille crediti se suo padre avallerà l'impegno, e se lei firmerà una scrittura in cui si impegnerà a restituire diecimila crediti.»
Cayle si mise pesantemente a sedere. La fine della speranza era giunta più rapidamente di quanto non si aspettasse.
«Mio padre» disse stancamente «non avallerà mai un mio impegno per diecimila crediti.»
«Suo padre» disse l'agente della banca «sarà tenuto a garantire unicamente la restituzione dei mille crediti. Sarà lei che si impegnerà a pagare i diecimila crediti, attingendo ai suoi redditi futuri.»
Cayle lo squadrò nuovamente, serrando le palpebre. «Con quale metodo mi sarà consegnata la somma?»
Il volto emaciato sorrise. «Lei firma, e noi le diamo il denaro. E per quanto riguarda il rapporto con suo padre, lasci la cosa a noi. La banca ha un reparto psicologia che si occupa delle persone che devono avallare o firmare cambiali. In alcuni casi usiamo la tecnica dell'imposizione, in altri...»
Cayle lo interruppe. «Per quanto mi riguarda, il denaro mi dovrà essere pagato prima che firmi.»
L'altro alzò le spalle, e rise. «Come vuole. Vedo che sa trattare con avvedutezza i suoi affari. Andiamo nell'ufficio del direttore delle miniere.»
Si avviò, e Cayle lo seguì, pensoso. La cosa era troppo facile, e non gli piaceva affatto. Tutto si stava svolgendo troppo rapidamente, come se... certo, come se ciò che gli stava accadendo facesse parte della routine di cose che accompagnava l'arrivo di un emigrante su Marte dopo un viaggio come il suo.
Rallentò il passo, e si guardò intorno con attenzione. C'era una lunga fila di uffici, vide, e altri uomini vi venivano accompagnati da persone ben vestite.
Gli parve di poter ricostruire ormai l'intero quadro. Prima l'offerta sul tabellone degli avvisi. Se non riuscivano a farvi abboccare a quella, allora arrivava un tizio dalla lingua sciolta, che ti offriva un prestito, sulla base del credito di cui godeva la tua famiglia. E il denaro prestato non sarebbe stato consegnato, e basta, oppure ti sarebbe stato rubato immediatamente dopo la consegna.
A questo punto, avendo ormai esaurito tutte le risorse disponibili, presenti e future, tu saresti dovuto rimanere su Marte per sempre.
"Ci saranno un paio di testimoni" Cayle pensò. "Individui robusti e armati, per essere certi che non conservi il tuo denaro."
Era un ottimo modo per colonizzare un pianeta inospitale. Forse l'unico modo possibile, dato che oggi gli uomini non mostravano molto interesse a fare i pionieri.
Entrò nell'ufficio. Ed ecco i due uomini, ben vestiti, sorridenti, amichevoli. Gli vennero presentati, rispettivamente, come il direttore delle miniere e un impiegato della banca. Cayle si chiese cinicamente quante altre persone, arruolate a forza come lo era stato lui, venivano in quel momento presentate al "direttore delle miniere". Il titolo faceva molto effetto, e doveva essere emozionante avere la possibilità di parlare in quel modo, da pari a pari, con una personalità così importante, e comprendere che era umano, in fin dei conti. Cayle gli strinse la mano, e poi si rimise a considerare tutti gli aspetti della situazione.
La cosa importante era ottenere il denaro con mezzi legali. Questo significava firmare davvero il documento, e ritirarne una copia. Anche ciò, forse, poteva dir poco, ma in fin dei conti c'era una certa parvenza di legalità anche sui pianeti. La cosa pericolosa era di essere senza denaro, e di arrivare in tribunale, dove gli altri potessero bellamente negare ciò che si testimoniava.
La stanza non era grande, ma era ammobiliata in modo sfarzoso. Poteva veramente essere l'ufficio di un direttore delle miniere. C'erano due porte: quella da cui egli era entrato, e un'altra esattamente di fronte. La porta da cui presumibilmente veniva fatto uscire il derubato, senza che avesse la possibilità di parlare con le altre persone ferme nella stanza più grande, quella da cui era giunto.
Cayle si recò fino alla seconda porta, la aprì e vide che dava sull'esterno. Fuori erano visibili decine e decine di baracche, e, fermi in piccoli gruppi tutt'intorno, c'erano dei soldati. La loro vista lo fece sostare un istante, poiché era chiaro che gli avrebbero impedito la fuga, se fosse riuscito a ottenere il denaro.
Si servì del proprio corpo per non far vedere agli altri che cosa stesse facendo. Rapidamente provò la maniglia, per vedere se la porta si potesse aprire dall'esterno. Non si apriva. Tranquillamente chiuse la porta, e, con un sorriso, ritornò nella stanza. Rabbrividì in modo convincente.
«Fa davvero freddo là fuori. Sarò lieto di ritornare sulla Terra.»
I tre uomini sorrisero comprensivi, e l'agente che assomigliava a un rospo gli porse un documento con dieci biglietti di banca da cento crediti fermati da una molletta. Clark contò il denaro e se lo infilò in tasca. Poi lesse il contratto.
Era abbastanza semplice: probabilmente era scritto in modo da tranquillizzare i dubbi delle persone che non si fidavano delle frasi involute. C'erano tre copie: una da inviare sulla Terra, l'altra per la filiale marziana e la terza per lui. Erano debitamente firmate e timbrate, e attendevano soltanto la sua firma. Cayle staccò l'ultima copia e se la mise in tasca. Le altre due vennero inserite nel circuito registratore. Firmò la prima con uno svolazzo... poi fece un passo indietro e scagliò la penna, con la punta in avanti, direttamente in faccia al "direttore".
L'uomo lanciò un grido e si portò la mano al viso.
Cayle non vide altro. Con un balzo si spostò a fianco dell'uomo simile a un rospo, lo afferrò al collo, proprio sopra il voluminoso colletto del cappotto, e strinse con tutta la sua forza. L'individuo guaiolò e si divincolò debolmente.
Per un istante, poi, Cayle ebbe il netto timore che il suo piano d'attacco si fosse basato su false premesse. Aveva supposto che l'odioso individuo avesse a sua volta un'arma, e cercasse di impugnarla, preso dal panico. Lunghe dita ossute cercavano freneticamente qualcosa, all'interno del voluminoso cappotto. Quando uscirono, stringevano un piccolo fulminatore lucente, che Clark afferrò di scatto, mano e tutto, e strizzò fra le dita. Con questo movimento, fece uscire l'arma dalla mano dell'uomo.
Vide che anche il massiccio "impiegato" aveva estratto la pistola e stava girandogli intorno, in modo da poter usare l'arma senza colpire il "rospo". Cayle sparò senza prendere la mira, contro i piedi dell'uomo. La radiazione termica formò un raggio sottile e luminosissimo. Si alzò un odore di cuoio bruciato, comparve un filo di fumo azzurrino. Con un urlo, l'individuo lasciò cadere l'arma e si mise a sedere pesantemente sul pavimento.
A un comando di Cayle, il "direttore" alzò le mani, con riluttanza. Cayle si affrettò a togliergli il fulminatore, raccolse quello che era caduto a terra e indietreggiò in direzione della porta.
Spiegò concisamente le proprie intenzioni. Il "rospo" l'avrebbe accompagnato come ostaggio. Sarebbero andati alla più vicina stazione delle linee aeree, e si sarebbero recati alla città di Mare Cimmerium, dove sarebbe salito su una regolare astronave di linea diretta verso la Terra.
«E se qualcosa dovesse andare storto» concluse Cayle Clark «almeno una persona morirà prima di me.»
Tutto andò a meraviglia.
Era il 26 agosto del 4784 di Isher, due mesi e ventitré giorni da che l'imperatrice Innelda aveva dato inizio al suo attacco contro i fabbricanti d'armi.
21
Cayle Clark continuò a far piani su piani, e i giorni del viaggio tra Marte e la Terra vennero scanditi lentamente dalle lancette dell'orologio. Il tempo della nave si spostò gradualmente dall'Ora Diurna di Cimmerium all'Ora di Città Imperiale. Ma la notte, fuori della nave, con il sole luminosissimo e lontano a un lato, e in ogni altro luogo un'oscurità trapunta di stelle, era un ambiente che non cambiava mai. Si consumarono pasti; Cayle dormì e sognò e si mosse lungo la nave e aspettò l'arrivo. I suoi pensieri divennero più precisi, più decisi. Non aveva dubbi. Un uomo che aveva superato la paura della morte non poteva fallire.
Il sole divenne più luminoso. Da una grande macchia rossa, scagliata sulla faccia dell'oscurità, Marte si ridusse a un punto minuscolo; un cerchietto rosso in un mare di notte: difficile da trovare in mezzo ai brillanti siderali dello scrigno celeste. Gradualmente, la Terra divenne un'ampia, splendida sfera di luce, poi un oggetto mostruoso, nebbioso e incredibile che riempiva metà del cielo. Apparvero i continenti. E sulla parte notturna della Terra, che fu parzialmente visibile quando la nave superò la Luna, le città splendevano con una luminosità intermittente che rivaleggiava con gli stessi cieli.
Clark vide quello spettacolo della Terra solamente a tratti. Cinque giorni prima dell'atterraggio aveva scoperto che in una delle stive si giocava a poker. Fin dall'inizio cominciò a perdere. Non tutte le partite: una vincita occasionale lo aiutò a recuperare alcuni crediti. Ma il terzo giorno di quella partita interminabile, penultimo del viaggio, la direzione avversa della fortuna era così marcata ch'egli si spaventò e lasciò il tavolo.
Nella sua cabina contò il denaro che gli rimaneva: ottantuno crediti. Aveva pagato una commissione dell'otto per cento al rappresentante della banca. Il resto se n'era andato per il viaggio, le perdite a poker e una pistola di modello imperiale.
"Almeno" pensava Cayle "sarò presto di ritorno nella Città Imperiale. E con più denaro di quanto ne avessi quando vi arrivai la volta scorsa."
Si sdraiò sul letto, straordinariamente a proprio agio. Le perdite a poker non lo turbavano. Non aveva pensato, quando era ritornato sull'argomento, di cercare di nuovo la fortuna al gioco. L'immagine che si faceva della propria vita era diversa. Avrebbe corso dei rischi, naturalmente, ma in un ambito d'azione più elevato. Aveva vinto cinquecentomila crediti - come minimo - nel Penny Palace. Sarebbe stato difficile incassarli, ma alla fine ci sarebbe riuscito. Si sentiva abile e paziente, pronto a tutte le eventualità.
Non appena avesse avuto il denaro, si sarebbe procurato un brevetto dal colonnello Medlon. Avrebbe potuto pagare per averlo, oppure no. Dipendeva dal momento. Non c'era desiderio di vendetta nel suo piano. Non si curava di ciò che sarebbe successo a due creature venali come il gestore del Penny Palace e il colonnello. Erano solo i primi passi, così parve a Cayle, nel piano più ambizioso che fosse mai stato concepito nell'impero di Isher. Un piano che affondava le radici in una realtà che pareva essere sfuggita a tutti gli individui che erano saliti a posizioni di rango nei servizi imperiali.
Innelda di Isher voleva il bene del Paese. Nell'unico contatto che aveva avuto con lei, Cayle aveva avvertito nell'imperatrice una personalità frustrata dalla corruzione degli altri. Nonostante ciò che si diceva contro la sua persona, l'imperatrice era onesta: onesta in modo machiavellico, naturalmente. Cayle non dubitava che fosse capace di emanare un ordine di esecuzione capitale. Ma questo faceva parte della sua funzione di governante. Al pari di Cayle stesso, l'imperatrice doveva portarsi ad agire a un livello che fosse pari alle necessità della situazione.
L'imperatrice era onesta. Avrebbe accolto con favore un uomo che fosse disposto a usare la sua illimitata autorità per fare pulizia al posto suo.
Da due mesi ormai Cayle continuava a meditare su ciò che l'imperatrice aveva detto nell'ufficio di Medlon, quel giorno, e adesso aveva trovato delle risposte molto acute. C'era l'accenno agli aspiranti al grado d'ufficiale, che non uscivano dalla massa perché avevano sentito dire che c'era qualcosa per aria. E l'accusa di una cospirazione a favore dei negozi d'armi, che si andava a collegare con l'inesplicabile chiusura dei negozi stessi. Qualcosa era davvero nell'aria, e per un uomo che era entrato in contatto personale con l'imperatrice, questo "qualcosa" voleva dire una grande occasione.
In tutti quei progetti, Cayle non poneva che una condizione. Per prima cosa doveva cercare Lucy Rall, e chiederle di sposarlo.
Quella fame non voleva attendere.
La nave si posò sulla propria rampa, pochi minuti prima di mezzogiorno, in una giornata priva di nuvole. Ci furono varie formalità, e giunsero le due prima che le carte di Cayle venissero timbrate ed egli potesse uscire all'aperto. Un alito di vento gli sfiorò le guance, e, dal pinnacolo di metallo che era il campo di atterraggio, poté vedere la città abbagliante, a occidente.
Era una vista da arrestare il respiro, ma Cayle non sprecò un solo istante. Da una cabina telestatica chiamò il numero di Lucy. Una pausa, poi la faccia di un giovane uomo comparve sullo schermo.
«Sono il marito di Lucy» disse il nuovo venuto. «È uscita un istante, ma in realtà tu non desideri parlare con lei.» E in tono convincente: «Prova a darmi una buona occhiata e sarai d'accordo con me.»
Cayle lo fissò senza capire. La familiarità del volto dell'altro non riusciva a farsi strada, nello shock causato dalle parole che aveva pronunciato.
«Guardami bene» incalzò l'immagine sullo schermo.
Cayle cominciò: «Non credo di...»
E poi capì. Si tirò indietro come se fosse stato colpito da uno schiaffo. Alzò la mano come per difendere i propri occhi da una vista troppo luminosa per lo sguardo. Avvertì il pallore che si stava diffondendo sulle sue guance, e vacillò...
La voce, che adesso era stata da lui riconosciuta, ebbe il potere di riportarlo alla normalità.
«Ritorna in te!» disse. «E ascolta. Desidero che tu venga a incontrarmi domani sera, sulla spiaggia del Paradiso dell'Uomo. Dammi un'altra occhiata, convinciti, e trovati là.»
Cayle non aveva bisogno di guardare, ma i suoi occhi cercarono ancora l'immagine di quel volto. E non c'era dubbio. La faccia che lo fissava dal telestato era la sua.
Cayle Clark stava guardando Cayle Clark... alle 2 e 10 minuti del pomeriggio, il 4 ottobre dell'anno 4784 di Isher.
22
6 ottobre. L'imperatrice si agitò, e si girò su se stessa nel letto. Aveva un ricordo. La sera prima, si era detta che al mattino avrebbe preso la decisione. E nell'uscire dal sonno comprese che sussisteva ancora l'incertezza precedente. Aprì gli occhi, ed era già amareggiata nei riguardi del nuovo giorno.
Si mise a sedere, componendo i tratti del viso, alterati dalla tensione. E mentre così faceva, una mezza dozzina di cameriere personali, che erano rimaste in attesa dietro un paravento a prova di suono, si precipitarono verso di lei. Le venne servita una bevanda energizzante. Si effettuarono regolazioni per far entrare la luce del sole, e la grande camera da letto si illuminò per un altro mattino. Massaggio, doccia, viso, capelli... e sempre e sempre, mentre la routine continuava, lei pensò: "Devo smuovere tutti, altrimenti l'attacco terminerà in un'umiliazione personale. Certo, dopo quattro mesi, non è possibile che ritardino ancora".
Non appena fu vestita, cominciò a ricevere funzionari di corte. Per primo Gerritt, capo dell'Amministrazione di Palazzo. Aveva un problema, anzi, molti problemi, e come al solito erano problemi sgradevoli. Ma questo era parzialmente colpa sua. Già da tempo pretendeva che tutte le punizioni somministrate al personale di palazzo le venissero comunicate. Oggi il tema dominante era l'insolenza. Servitori che si rifiutavano d'obbedire ai superiori e scansavano il lavoro. Un'infrazione che diventava generale.
«Per l'amor di Dio» disse Innelda, con irritazione «se non approvano i limiti della loro posizione, perché non se ne vanno? I servitori di palazzo esperti possono sempre trovare ottimi posti di lavoro, se non altro perché si pensa che conoscano i fatti della mia vita privata.»
«Perché Vostra Maestà non lascia che mi occupi io di questi affari del personale?» disse Gerritt. Era la sua risposta abituale, e veniva data con ostinazione. Sapeva che Gerritt avrebbe finito per averla vinta, una volta che lei avesse raggiunto la saturazione, ma questo non gli sarebbe servito a nulla. Un vecchio e ostinato conservatore non avrebbe mai avuto il pieno controllo del vasto numero di dipendenti del palazzo. Lui e quelli come lui, eredità del periodo di reggenza, sarebbero stati giubilati.
Sospirò e lo congedò... e ritornò a essere sola con il suo problema. Che fare? Doveva ordinare l'attacco dovunque fosse possibile? O attendere, nella speranza che emergessero nuove informazioni? Il guaio era che ormai aveva atteso troppe settimane.
Entrò il generale Doocar: un uomo alto e magro dagli occhi color grigio ardesia. Salutò con un inchino, e disse:
«Signora, l'edificio è riapparso per due ore e quaranta minuti la scorsa notte, con solo un minuto di differenza rispetto ai calcoli.»
Innelda annuì. Si trattava ormai di una cosa abituale. La legge fisica secondo cui l'edificio riappariva era stata trovata entro una settimana dalla sua iniziale sparizione. Insisteva ancora perché la tenessero al corrente dei movimenti dell'edificio, ma neppure lei ne avrebbe saputo dire il motivo.
"Sono come una bambina" pensò, in tono di accusa verso se stessa. "Non posso lasciare che qualcosa sfugga al mio controllo." Questa analisi peggiorò il suo umore. Fece alcune pungenti osservazioni sull'efficienza degli scienziati militari posti sotto il comando di Doocar, poi gli rivolse la domanda che la assillava. Il generale scosse la testa.
«Signora» disse «un attacco è fuori discussione, in questo momento. Abbiamo una macchina a energia puntata sui negozi d'armi di ogni grande città di questo pianeta. Ma nel corso degli ultimi due mesi e mezzo hanno disertato undicimila ufficiali. Le macchine a energia sono custodite da guardie che non sanno come farle funzionare.»
La donna arrossì d'ira. «La macchina ipnotica potrebbe istruirle in massa nel tempo di un'ora.»
«Certo.» La voce dura del generale non ebbe tremito. Le labbra sottili divennero un poco più sottili. Questo fu tutto. «Maestà, se siamo disposti ad affidare a soldati semplici una simile informazione, spetta a lei dirlo. Non ha che da darmi l'ordine, e io obbedirò.»
Innelda si morse il labbro, irritata. Quel vecchio severo l'aveva vinta sull'argomento. Era fastidioso avere finalmente espresso a parole il pensiero che aveva represso molte volte in passato. Disse, in tono difensivo:
«Sembra che i cosiddetti soldati semplici siano più fedeli dei miei ufficiali con tanto di brevetto, e anche più coraggiosi.»
Il generale si strinse nelle spalle. «Lei concede a quei suoi individui delle tasse la licenza di vendere i brevetti» disse. «E in effetti ottiene in questo modo, generalmente, gente istruita, ma non può certo pretendere che una persona che ha pagato diecimila crediti per il grado di capitano voglia correre il rischio di farsi uccidere.»
La discussione cominciava ad annoiarla. Aveva già ascoltato tutte quelle obiezioni, in precedenza, formulate con altre parole. Gli stessi vecchi argomenti, rinforzati dalle stesse espressioni teatrali, anche se ormai erano passate varie settimane dall'ultima volta in cui si era fatta menzione dei brevetti delle forze armate. L'argomento non era piacevole. Adesso le ricordò qualcosa che aveva quasi dimenticato.
«L'ultima volta che abbiamo parlato di questo» disse, lentamente «le ho chiesto di mettersi in contatto con il colonnello Medlon per chiedergli che cosa sia poi stato di quell'ufficiale a cui stava per dare un brevetto quando l'ho chiamato io, una volta. Non mi accade sovente di entrare in contatto personale con i ranghi inferiori.»
Bruscamente fu colta dall'ira. «Sono circondata da un gruppo di vecchi che non sono capaci di mobilitare un esercito.» Cercò di dominare la propria collera: «Ma lasciamo perdere questo. Che mi dice di quell'ufficiale?»
Il generale Doocar rispose, impassibile come una pietra: «Il colonnello Medlon mi informa che il giovane aspirante ufficiale non si è ripresentato all'ora fissata. Il colonnello pensa che debba avere avuto sentore di ciò che stava accadendo, e che si sia affrettato a cambiare idea.»
Cadde il silenzio. Innelda pensò che la spiegazione suonava falsa. Quell'uomo non sembrava un tipo simile alla descrizione. E inoltre, l'imperatrice gli aveva parlato personalmente.
Non sottovalutava l'importanza di un simile contatto personale. La gente che incontrava l'Imperatrice Isher non soltanto avvertiva il suo fascino, ma sperimentava l'atmosfera anormale della propria posizione. La combinazione delle due cose era schiacciante: non la si poteva lasciar perdere con leggerezza, in base alle parole di un probabile "beone".
Infine disse, con pacata fermezza: «Generale, informi il colonnello, oggi stesso,che egli mi presenterà quel giovane ufficiale, oppure dovrà affrontare domattina una Lambeth.»
Il magro generale le rivolse un inchino, e sulla sua faccia comparve un sorriso cinico. «Signora» disse «se prova piacere nel distruggere la corruzione, un singolo individuo alla volta, ha davanti a sé un compito che durerà tutta la vita.»
Queste parole non le piacquero. Nella risposta c'era una brutalità che la colpì nel profondo. Fece un passo indietro. «Dovrò ben iniziare da qualcuno» disse.
Fece un gesto, metà di minaccia, metà di frustrazione. Disse in tono lamentoso: «Non la capisco più, generale. Quando ero ancora una bambina, anche lei era d'accordo di dover fare qualcosa.»
«Non da parte sua.» Scosse la testa. «La famiglia imperiale deve approvare, e non dirigere personalmente, un repulisti morale.» Alzò le spalle. «In realtà, sono giunto più o meno a condividere l'idea dei negozi d'armi che questa sia un'epoca in cui la gente si dedica alla corruzione ogni volta che si nega normale espressione ai suoi impulsi avventurosi.»
I verdi occhi dell'imperatrice mandarono fiamme. «Non mi interessa la filosofia dei negozi d'armi.»
Aveva improvvisamente provato stupore per il fatto che il generale parlasse in quel modo. Lanciò l'accusa contro di lui, ma il nobile vecchio non provò alcun imbarazzo.
«Signora» disse «quando cesserò di esaminare le idee e la filosofia di un potere che esiste da duemila anni, allora potrà avere le mie dimissioni.»
La donna si rifiutò di riprendere la discussione. Dovunque si voltasse, incontrava questa semivenerazione dei negozi d'armi. Anzi, l'accettazione dei negozi d'armi come una facciata legittima della civiltà Isher.
"Devo sbarazzarmi di questi vecchi" pensò, non per la prima volta. "Mi trattano come una bambina, e continueranno sempre a trattarmi così."
A voce alta, disse in tono glaciale: «Generale, non mi interessa ascoltare gli insegnamenti morali di un'organizzazione che è fondamentalmente responsabile di tutta l'immoralità presente nel sistema solare. Viviamo in un'epoca in cui la potenzialità produttiva è talmente grande che nessuno dovrebbe mai mancare di nulla. Il crimine causato da bisogni economici non dovrebbe esistere. Il problema del crimine di origine psicopatica può trovare soluzione ogni volta che si giunga a prendere in consegna la persona malata di mente. Ma qual è la situazione?»
Ormai si era fatta prendere dall'ira dei ricordi. «Scopriamo che al nostro psicopatico è stata venduta una pistola dei negozi d'armi. Il proprietario di una casa delle illusioni è protetto allo stesso modo. Vero, in questo caso c'è un accordo tra la polizia e le case, cosicché le retate non incontrano opposizione. Ma se ogni singolo proprietario dovesse decidere di opporre resistenza, noi dovremmo ogni volta portare un cannone da trentamila cicli per sconfiggerlo.»
S'interruppe per esaminare il lavoro compiuto dalla pettinatrice, lo approvò, e con un cenno della mano congedò la donna.
«Ridicolo! Criminale!» continuò. «Da ogni parte, viene frustrato il nostro desiderio di porre fine a questa malvagità di milioni di individui, che si fanno beffe della legge perché hanno una pistola dei negozi d'armi. Sarebbe diverso se questi... fabbricanti d'armi... limitassero la vendita dei loro prodotti alle persone rispettabili. Ma quando ogni sorta di malfattore può comprare una...»
«Una pistola per difendersi!» la interruppe il generale, piano. «Una pistola che serve soltanto per difendersi.»
«Esattamente» disse Innelda. «Un uomo può commettere qualsiasi crimine, e poi difendersi dalla giustizia. Oh...» (e qui s'infuriò) «perché perdo tempo a parlarne con lei? Generale, gliel'ordino! Abbiamo il mezzo che può distruggere una volta per tutte questi negozi d'armi. Non c'è bisogno che uccida i membri, ma organizzi l'esercito in modo che distrugga i negozi. Lo organizzi, diciamo, per un attacco entro i prossimi tre giorni? Una settimana?»
Lo fissò attentamente. «Tra quanto tempo, generale?»
Egli obiettò: «Mi conceda fino al nuovo anno, signora. Giuro che la confusione che è stata causata dalle diserzioni ci ha momentaneamente rovinato.»
Aveva dimenticato per un momento i disertori. «Avete catturato alcuni di quegli ufficiali?»
L'uomo esitò. «Alcuni, sì.»
«Ne voglio qui uno per interrogarlo, questa mattina.»
Il generale Doocar si inchinò.
«Quanto agli altri» disse Innelda «li faccia cercare dalla polizia militare. Non appena sarà finita questa confusione, disporrò speciali corti marziali per i traditori, e insegneremo loro il significato del giuramento di fedeltà.»
«Supponiamo» disse Doocar, e la sua voce era di nuovo bassa «che abbiano pistole dei negozi d'armi?»
La reazione a queste parole fu talmente forte che la collera dell'imperatrice assunse un connotato di calma glaciale.
«Amico mio» disse in tono grave «quando la disciplina dell'esercito può essere annullata da un'organizzazione clandestina, allora anche i generali devono comprendere che è il momento di distruggere la sovversione.»
Alzò il braccio destro, come a sottolineare la propria decisione. «Questo pomeriggio, generale, farò visita ai laboratori dei Campi Olimpi. Desidero vedere quali progressi si siano compiuti nello scoprire che cosa esattamente i fabbricanti d'armi abbiano fatto a quell'edificio. Entro domattina il colonnello Medlon dovrà rintracciarmi il giovanotto a cui avrebbe dovuto dare il brevetto. Se non riuscirà a rintracciarlo, la testa di almeno uno tra i corrotti rotolerà.
«Forse penserà che io sia infantile, a occuparmi in questo modo di un singolo individuo. Ma da qualche punto devo pur cominciare. E conosco già il caso di quel giovanotto: su di lui posso fare controlli. Ma ora» disse «lei, ammiratore dei negozi d'armi, esca di qui, prima che venga spinta a prendere qualche decisione drastica.»
«Signora» protestò Doocar, con voce tranquilla. «Io sono fedele alla Casa Isher.»
«Sono felice di sentirglielo dire» replicò Innelda, con voce aspra.
Gli passò davanti e uscì nel corridoio, senza guardarsi alle spalle.
23
Entrata nella sala, udì i deboli sospiri di sollievo di coloro che già erano là. Sorrise in modo sprezzante. Coloro che desideravano mangiare nella sala imperiale dovevano aspettare finché lei non avesse spezzato il pane o avesse fatto dire che non sarebbe venuta. Nessuno aveva l'obbligo di essere presente. Ma di solito coloro che avevano accesso alla sala non erano disposti a rinunciare al privilegio.
Innelda disse: «Buongiorno!» Poi si sedette a capo della propria tavola. Sorseggiò un bicchiere d'acqua, che era il segnale di entrata per i camerieri. Dopo aver dato gli ordini, si guardò intorno. Dappertutto c'erano teste grigie; uomini e donne che avevano superato i cinquanta; relitti degli anni di reggenza.
Alla sua tavola sedevano una mezza dozzina di giovanotti e due delle sue più giovani segretarie. Ma erano solo una rimanenza: i resti dell'emigrazione dei giovani che aveva fatto seguito all'allontanarsi del principe Del Curtin.
«Avete tutti dormito bene, la notte passata?» disse Innelda, rompendo affabilmente il silenzio. Tutti si affrettarono a rassicurarla di avere dormito benissimo. «Splendido» mormorò; e cadde in un silenzio imbronciato. Non sapeva neppure lei che cosa volesse dai propri commensali; forse una minore formalità di rapporti. Ma fino a che punto? L'anno prima, un giovanotto che le era appena stato presentato le aveva chiesto se fosse ancora vergine. E poiché lo era, l'incidente le dava ancora fastidio.
Una cafonata che era decisamente fuori posto. Lei sentiva istintivamente che un comportamento amorale dalla sua parte si sarebbe riflesso sulla reputazione della famiglia Isher. E allora? Prese una fetta di pane tostato. Che cosa voleva? Una filosofia positiva della vita: la fede in un principio, con la capacità di apprezzare gli aspetti umoristici dell'esistenza. La sua educazione, severa e semplice, aveva dato grande rilievo agli addestramenti positivi della mente. La serietà era molto importante, ma a volte oltrepassava il segno. S'irrigidì, e si riaffacciò alla sua mente un'antica decisione: "Devo sbarazzarmi di questi fannulloni privi di una briciola di umorismo, che pensano solo a barcamenarsi, che pensano due volte prima di fare una cosa, e poi non la fanno...".
S'interruppe, commiserandosi, e si appellò ai suoi dèi personali: "Datemi solo una buona battuta umoristica al giorno, capace di farmi ridere, e un uomo che sia capace di occuparsi degli affari di Stato, e in aggiunta, sappia farmi divertire. Se solo Del fosse qui".
Aggrottò la fronte, infastidita per la direzione presa dai suoi pensieri. Suo cugino, il principe Del Curtin, disapprovava l'attacco ai negozi d'armi. Che colpo per lei, quando l'aveva scoperto. E quale mortificazione, quando tutti i giovani del suo seguito si erano allontanati da palazzo insieme a lui, rifiutandosi di prendere parte all'impresa.
Dopo avere fatto uccidere Banton Vickers (che aveva minacciato di informare dei suoi piani i negozi d'armi: una minaccia che era un tradimento e che avrebbe distrutto il suo prestigio se l'avesse lasciata impunita), non poteva più ignorare l'opposizione.
Stringendo le labbra, ricordò la loro ultima conversazione. Il principe, freddo e cerimonioso, bellissimo nella propria ira, e lei incerta, ma decisa, mentre Del diceva: "Quando ti sarà passata questa mattana, Innelda, allora potrai richiamarmi a corte".
Doveva aver saputo che con quelle parole le dava l'occasione di dire: "Ciò non succederà mai!". Ma lei non aveva osato dirlo. Si era comportata come una moglie, pensò con amarezza. Le era stato fatto un torto, ma non aveva voluto parlare troppo, per paura che il marito la prendesse sulla parola.
Ma dopo ciò che era accaduto, non avrebbe potuto sposare il principe Del Curtin. Eppure sarebbe stato piacevole riaverlo indietro... in futuro... una volta distrutti i negozi d'armi. Terminò la prima colazione e diede un'occhiata all'orologio. Le nove e mezzo. Rabbrividì involontariamente. La lunga giornata era appena iniziata.
Alle dieci e mezzo, dopo avere sbrigato la corrispondenza più urgente, si fece portare l'ufficiale disertore. Secondo i documenti, aveva trentatré anni, era nato in campagna e aveva il grado di maggiore.
Entrò con l'ombra di un sorriso cinico sulle labbra, ma con un'espressione depressa nello sguardo. Si chiamava Gile Sanders. Innelda lo squadrò con aria tetra. Secondo l'incartamento aveva tre amanti e si era fatto una fortuna con le tangenti su certe forniture dell'Esercito. La sua era una storia tipica. E l'aspetto incomprensibile era che quest'uomo, il quale aveva tanto, aveva rinunciato a tutto.
Gli rivolse la domanda, francamente. «E per favore» aggiunse «non mi faccia l'insulto di rispondermi che la turbavano i fini morali della guerra. Mi dica semplicemente, in poche parole, perché ha rinunciato a tutto ciò che aveva, in cambio del disonore e della vergogna. Con il suo atto, si è diseredato. Il minimo che le può succedere è di venire mandato permanentemente su Marte o Venere. È stato uno sciocco, un codardo, o entrambe le cose?»
L'uomo alzò le spalle. «Suppongo di essere stato uno sciocco.» Stropicciava nervosamente i piedi sul pavimento. Non cercava di sottrarsi allo sguardo fisso di lei, ma le sue risposte lasciarono insoddisfatta l'imperatrice. Dopo dieci minuti non era ancora riuscita a strappargli una vera spiegazione. Ed era possibile che nella decisione di quell'uomo non fosse neppure entrata la valutazione dei profitti e delle perdite.
Tentò un nuovo modo di affrontare l'argomento. «Da quanto è scritto sul suo dossier» disse «le è stato ordinato di presentarsi a rapporto all'edificio 800-A, e, dato il suo grado, le è stato spiegato che finalmente si era trovato un metodo per distruggere i negozi d'armi.
«Un'ora più tardi, dopo avere bruciato i suoi incartamenti privati, ha lasciato l'ufficio ed è andato ad abitare in un villino sul mare che aveva acquistato segretamente... o almeno così credeva... cinque anni fa. Una settimana dopo, quando fu chiaro che lei non intendeva fare il suo dovere, è stato arrestato. Da allora è rimasto in stretto isolamento. Questo racconto è sufficientemente esatto?»
L'uomo annuì, ma non disse nulla. L'imperatrice lo osservò, mordendosi il labbro. «Amico mio» disse alla fine, pacatamente «è mio potere assegnarle come punizione tutto quello che posso desiderare. Tutto. Morte, esilio, commutazione della pena...» s'interruppe per un istante: «... reintegrazione nel grado.»
Il maggiore Sanders sospirò stancamente. «Lo so» disse. «Fu appunto questa la visione che mi apparve d'improvviso.»
«Non capisco.» Era veramente perplessa. «Se comprendeva le possibili conseguenze del suo atto, allora è stato davvero uno sciocco.»
«La visione» continuò l'uomo, in tono privo d'inflessione, come se non avesse udito le sue parole «di un'epoca in cui qualcuno, non necessariamente lei, avrebbe avuto questo potere senza restrizioni, senza che ci fosse qualche posto dove rivolgersi, senza remissione, senza... speranza.»
Aveva ricevuto la risposta cercata. «Ma come! Di tutte le sciocchezze che ho ascoltato!...» disse Innelda, furibonda. Si appoggiò contro la spalliera della sedia, momentaneamente sopraffatta dall'enormità della cosa; trasse un profondo respiro, poi scosse il capo, con irritazione.
«Maggiore» disse, gentilmente «mi dispiace per lei. Certo la sua conoscenza della storia della mia famiglia deve averle detto come non sussista il pericolo di un abuso di potere. Il mondo è troppo grande. Come individuo, io posso interferire negli affari di una parte talmente piccola della razza umana, che il risultato sarebbe trascurabile. Ogni decreto che viene da me promulgato svanisce in una fitta nebbia di interpretazioni divergenti, non appena si allontana da me. Il decreto potrebbe essere fondamentalmente mite, ma questo non comporterebbe alcuna differenza, nella gestione che si finirebbe per farne.
«Ogni cosa, quando viene applicata a undici miliardi di persone, assume una mancanza di significato che è impossibile a immaginarsi, a meno che non si sia studiato, come lo studio io, il suo risultato finale.»
Vide con sorpresa che le sue parole non avevano fatto presa su di lui. Si trasse indietro, offesa. Tutto era così cristallino, e davanti a lei c'era un pazzo ostinato, uguale a tutti gli altri. Con uno sforzo, frenò la collera.
«Maggiore» disse «una volta tolti di mezzo i negozi d'armi, potremmo introdurre leggi stabilizzanti, che non potrebbero venire eluse. L'amministrazione della giustizia sarebbe più uniforme, perché la gente dovrebbe accettare il giudizio dei tribunali, e potrebbe unicamente ricorrere appellandosi a corti di ordine più elevato.»
«Esattamente» disse Sanders. E fu tutto. Il suo tono di voce rifiutava la logica del discorso dell'imperatrice.
Lei lo studiò per un lungo istante, e sentì di avere perso ogni simpatia per quell'individuo. Infine disse, con amarezza: «Se lei è un così fermo credente nei negozi d'armi, perché non si è tutelato andando da loro a procurarsi una pistola difensiva?»
«Ci sono andato.»
Innelda esitò, poi disse freddamente: «E che cosa le è successo? Le è mancato il coraggio, quando è giunto a doversi difendere dall'arresto?»
Osservando l'uomo, capì che avrebbe fatto meglio a non fare la domanda. Lasciava adito a una risposta che, comprese, sarebbe stata assai antipatica. E questo timore si dimostrò giustificato.
Sanders rispose: «No, Maestà. Ho fatto esattamente quello che hanno fatto altri... ehm... disertori. Mi sono tolto l'uniforme e sono andato a un negozio d'armi, con l'intenzione di acquistare una pistola. Ma la porta non si è aperta. A quanto pare, devo essere uno dei pochi ufficiali che credono ancora che la famiglia Isher sia la più importante delle due facce della civiltà isheriana.»
I suoi occhi si erano illuminati, mentre pronunciava queste parole. Ora ritornarono depressi. «Mi trovo» disse «esattamente nella posizione in cui lei vuole metterci tutti. Non ho un luogo dove rivolgermi. Devo accettare la sua legge; devo accettare segrete dichiarazioni di guerra a. un'istituzione che fa altrettanto parte della civiltà isheriana quanto ne fa parte la stessa Casa Isher; devo accettare la morte se lei mi condanna, senza la possibilità di difendermi in aperta battaglia.
«Maestà» terminò, tranquillamente «io la rispetto e la ammiro. Gli ufficiali che hanno disertato non sono dei delinquenti. Si sono soltanto trovati a dover prendere una decisione, e hanno scelto di non prendere parte a un attacco contro uno stato di fatto. Non credo di poter esprimere più onestamente di così la situazione.»
Anche lei non lo credeva. Ecco un uomo che non avrebbe mai capito la realistica necessità di ciò che lei stava facendo.
Dopo averlo congedato, si annotò il suo nome nel taccuino, con il commento che desiderava conoscere il verdetto della corte marziale. L'atto di scrivere queste parole le ricordò che ancora le sfuggiva il nome dell'uomo che il colonnello Medlon doveva portarle la mattina seguente.
Sfogliò le pagine e lo trovò subito. «Cayle Clark» disse a voce alta. «Proprio lui.» Ma ormai era giunto il momento di andare al reparto Tesoreria per farsi dire tutte le ragioni che le impedivano di spendere altro denaro. Con un sorriso stanco, uscì dallo studio e prese un ascensore privato che la portò al cinquantesimo piano.
24
Ci siamo sposati (così diceva Lucy nel suo sconnesso rapporto al Dipartimento Coordinazione dei negozi d'armi) poco prima di mezzogiorno, venerdì, giorno del suo arrivo da Marte. Non so come spiegare il fatto che un successivo controllo ha mostrato che non atterrò fino alle due del pomeriggio, e non gli ho neppure chiesto spiegazioni sulla cosa. Gliele chiederò soltanto se mi sarà espressamente richiesto di farlo. Non voglio fare illazioni sul modo da lui seguito per potermi sposare prima dell'ora di arrivo della nave.
Comunque, io non ho dubbi. L'uomo che ho sposato è Cayle Clark. È impossibile che io sia stata ingannata da una persona che si è fatta passare per lui. Mi ha appena chiamato al telestato, come tutti i giorni, ma non sa che sto scrivendo questo rapporto.
Comincio a pensare che sia sbagliato da parte mia fare un rapporto su di lui, di qualsiasi tipo. Comunque, dato che la situazione generale è quella che è, io cerco, come mi è stato richiesto, di ricordare ogni particolare di ciò che è successo.
Comincerò dal momento in cui ho ricevuto una chiamata telestatica da lui, la mattina del suo arrivo da Marte.
A quanto ricordo, erano le dieci e mezzo. La conversazione fu estremamente breve. Ci salutammo, ed egli mi chiese di sposarlo. I miei sentimenti nei riguardi di Cayle Clark sono ben noti al capo del Dipartimento Coordinazione. E sono certa che il signor Hedrock non si stupirà se gli dirò che ho accettato immediatamente la proposta, e che abbiamo firmato le dichiarazioni di matrimonio sul circuito registratore quella mattina stessa, pochi minuti prima di mezzogiorno.
Quindi ci recammo nel mio appartamento, dove rimanemmo, con un'unica interruzione, per tutto il rimanente del giorno e della notte. L'interruzione si verificò a un quarto alle due, quando mi chiese se non avessi voglia di fare una passeggiata intorno all'edificio, mentre lui si serviva del mio telestato per una chiamata. Non disse se la chiamata fosse in arrivo o in partenza, ma, al mio ritorno, constatai sul contatore del telestato che la chiamata era stata effettuata da fuori.
Con questo non intendo scusarmi per avere lasciato l'appartamento dietro sua richiesta. La mia acquiescenza mi sembra normale. Nel corso del giorno e della sera, egli non fece più menzione della chiamata, e invece mi descrisse tutto ciò che gli era successo dopo l'ultima volta che lo avevo visto nella casa delle illusioni. Confesso che a volte il suo racconto mi parve meno chiaro di quel che sarebbe dovuto essere, e più di una volta ebbi la netta impressione che raccontasse avvenimenti che gli erano successi molto tempo prima.
La mattina dopo il nostro matrimonio, si alzò presto e disse che aveva molte cose da fare. Poiché io ero ansiosa di chiamare il signor Hedrock, lo lasciai andare senza obiezioni.
Il successivo rapporto di un altro agente dei negozi d'armi, nel quale si diceva che un costosissimo autopiano privato lo prese a bordo a un isolato di distanza dal mio appartamento e poi partì prima che l'agente potesse procurarsi un mezzo di trasporto, mi lascia perplessa. Francamente, non riesco a capire.
Da allora in poi, Cayle non è più ritornato nell'appartamento, ma mi ha chiamato ogni mattina e mi ha detto che non può ancora spiegarmi che cosa stia facendo, ma che mi ama come sempre. Io accetterò queste parole fino a quando non sarà egli stesso a dirmi il contrario.
Non so niente del fatto, affermato in un altro rapporto, ch'egli ha da più di un mese un brevetto di capitano nell'Esercito di Sua Maestà. Non so come sia riuscito a ottenere il brevetto, e neppure quali mezzi usi per portare avanti i propri interessi. Se è vero che, come è stato riferito, fa già parte dello stato maggiore alle dirette dipendenze dell'imperatrice, allora non posso fare altro che manifestare il mio stupore e chiedermi privatamente come ci sia riuscito.
In conclusione, mi permetta di riaffermare la mia fiducia in Cayle. Non posso dare giustificazioni del suo operato, ma credo che il risultato finale sarà senza dubbio onorevole.
(firmato) Lucy Rall Clark
14 novembre, 4784 I
25
Ecco il fatto nuovo. Da un mese, Hedrock rimandava il momento dell'azione, in attesa di nuove prove. Ma ora, leggendo il documento di Lucy, si era convinto. L'imprevedibile svolta degli avvenimenti, da lui attesa, si era prodotta. Non aveva ancora idea della sua natura. Provò tensione e allarme, la paura di avere perso qualche importante indizio. Ma non aveva alcun dubbio: la svolta era quella.
Aggrottando la fronte, rilesse le dichiarazioni della ragazza. E gli parve che in Lucy si stesse sviluppando un atteggiamento negativo nei riguardi dei negozi d'armi. Non perché avesse fatto qualcosa, ma perché temeva che le sue azioni potessero essere male interpretate. Era un atteggiamento di difesa, e pertanto un cattivo atteggiamento.
Il legame tra i negozi e i loro membri era di natura psicologica. Di solito, quando qualcuno voleva andarsene, gli si toglievano i ricordi pericolosi, gli veniva dato un premio, a seconda dell'anzianità di servizio, e lo si metteva in libertà con i saluti dell'organizzazione. Ma Lucy era un contatto chiave in un periodo di grande crisi. Il conflitto tra il suo dovere nei riguardi dei negozi e la sua situazione personale non doveva rischiare di divenire troppo grande.
Hedrock meditò sul problema, poi compose un numero al telestato. Sullo schermo comparve il viso di Lucy, ed Hedrock disse con serietà:
«Ho appena letto il suo rapporto, Lucy, e desidero ringraziarla della cooperazione. Comprendiamo fino in fondo la sua posizione, e mi è stato chiesto...» volle deliberatamente presentare la cosa come se dietro le sue parole ci fosse un gruppo esecutivo «mi è stato chiesto di pregarla di tenersi a nostra disposizione giorno e notte finché non sarà trascorso il periodo critico. In cambio, i negozi d'armi faranno tutto il possibile per proteggere suo marito da qualsiasi reazione pericolosa che possa nascere da ciò ch'egli sta ora facendo.»
Non era una promessa da prendere alla leggera. Aveva già passato l'ordine alla Sezione Protezione. Fin dove era possibile proteggere un uomo che gravitava entro la sfera dell'imperatrice, si stava già proteggendo Clark.
Studiò il viso di lei con attenzione, ma senza farsene accorgere. Per quanto fosse intelligente, la ragazza non avrebbe mai compreso appieno la guerra tra Isher e i negozi d'armi. Era una guerra che non traspariva all'esterno. Nessun cannone sparava. Nessuno veniva ucciso. E anche se i negozi d'armi fossero stati distrutti, Lucy non avrebbe immediatamente notato alcuna differenza. Forse la sua vita non ne sarebbe mai stata toccata, e neppure l'uomo immortale avrebbe potuto dire come si sarebbe modificato il modello generale di vita, se fosse stata eliminata una delle due strutture di potere della cultura isheriana.
Vide che Lucy non era soddisfatta delle sue parole. Esitò, poi disse: «Signora Clark, il giorno in cui si è sposata ha misurato gli indici callidetici di suo marito e li ha passati a noi. Non le abbiamo mai comunicato i risultati per evitare che si allarmasse. Credo tuttavia che suscitino in lei più interesse che preoccupazione.»
«Sono speciali?» chiese Lucy.
«Speciali!» Hedrock cercò gli aggettivi adatti. «La callidesi di suo marito, nel momento in cui l'ha misurata, era la più alta che si fosse mai registrata in tutta la storia del Centro Informativo. L'indice non ha nulla a che vedere con il gioco d'azzardo, e non possiamo sapere che forma assumerà, ma non abbiamo dubbi che influirà sull'intero mondo di Isher.»
Le rivolse uno sguardo preoccupato. L'aspetto sorprendente della cosa era che Cayle Clark non faceva nulla. Era al seguito dell'imperatrice, e una legione di spie teneva sotto controllo tutti i suoi movimenti... o quasi tutti.
Varie chiamate telestatiche da lui effettuate da palazzo erano risultate di natura troppo privata per interferire con esse. E due volte era uscito di palazzo, sottraendosi a coloro che lo sorvegliavano. Piccoli incidenti: non potevano certo rendere conto del fatto che, secondo le misurazioni callidetiche effettuate su di lui, ciò che stava succedendo era in quel momento. E neppure gli uomini-No dei negozi d'armi erano capaci d'indovinare la natura di quella sua attività.
Hedrock spiegò la situazione, poi disse: «Lucy, è sicura di avermi detto tutto? Le giuro che è questione di vita o di morte, e in particolare della vita di suo marito.»
La ragazza scosse la testa. E sebbene Hedrock osservasse con attenzione, gli occhi di lei non cambiarono, non mostrarono tracce. Allargò le palpebre, ma questo era un altro tipo di fenomeno. La sua bocca rimase ferma, cosa che costituiva un buon segno.
Ovviamente, era impossibile avere la certezza che non mentisse, semplicemente osservando le sue reazioni fisiche... ma dal dossier non risultava che Lucy Rall avesse mai ricevuto l'addestramento alle tecniche evasive. Mentre Robert Hedrock avrebbe potuto mentire senza mostrare una sola delle note reazioni fisiologiche che si accompagnano a una menzogna, Lucy semplicemente non aveva l'esperienza, o l'addestramento nel controllo dei nervi, necessari per fermare i segnali inconsci dei suoi muscoli.
«Signor Hedrock» disse «sa di poter contare su di me fino al limite.»
Questa era una vittoria, per gli scopi immediati di Hedrock. Ma interruppe la comunicazione, insoddisfatto: non di Lucy o degli altri suoi agenti, ma di se stesso. Gli sfuggiva qualcosa. La sua mente non riusciva a vedere in modo abbastanza approfondito nella realtà. E allo stesso modo in cui la soluzione del problema dell'altalena continuava a sfuggirgli, così ora non riusciva a cogliere in modo esatto qualcosa phe in realtà doveva essere assai evidente. Finché rimaneva seduto nel suo ufficio, a meditare su cifre e informazioni, era troppo lontano dalla scena degli avvenimenti.
Era chiaramente giunto il momento che Robert Hedrock conducesse un'indagine sul luogo dei fatti, di persona.
26
Hedrock camminava lentamente lungo l'Avenue della Fortuna, assaporando le minute differenze nell'aspetto degli edifici. Non ricordava di preciso da quanto tempo mancava da quella strada, ma gli pareva da molto, molto tempo. C'erano più casinò di quanti ne ricordasse, ma per il resto c'erano pochi cambiamenti. Un centinaio d'anni non lasciava impronte sui metalli e i materiali edilizi degli edifici costruiti in base alle rigorose leggi di Isher. In generale, il disegno architettonico rimaneva lo stesso, ma le decorazioni erano diverse. Nuove facciate luminose, studiate in modo da richiamare l'occhio, gli si presentavano da ogni direzione. La scienza dell'abbellimento e del restauro non era stata risparmiata.
Quando entrò nel Penny Palace non aveva ancora deciso che livello d'azione scegliere. Preferiva le maniere irresistibili, ma pensò che fosse meglio rimandare la decisione in merito, per il momento. Nell'entrare nella "stanza del tesoro", un anello che aveva al dito mignolo incominciò a vibrare. Un trasparenziatore lo stava esaminando, alla sua destra. Continuò a camminare, poi si voltò con aria indifferente e squadrò i due uomini dalla cui direzione era giunto l'impulso. Erano impiegati della casa, oppure indipendenti? Poiché egli portava con sé, sempre, almeno cinquantamila crediti, i ladri indipendenti potevano essere un fastidio. Sorrise cordialmente nell'avvicinarsi a loro.
«Temo proprio di no» disse. «Dimenticate qualsiasi progetto che possiate avere, eh?»
Il più massiccio dei due portò la mano a una tasca del soprabito, poi alzò le spalle. «Lei non ha una pistola dei negozi d'armi» disse, indispettito. «Non è affatto armato.»
Hedrock disse: «Vuole fare la prova?» e fissò l'uomo negli occhi.
Il giocatore fu il primo a distogliere lo sguardo. «Andiamo via, Jay» disse. «Questo colpo non è affatto come me lo aspettavo.»
Hedrock lo fermò, mentre stava per allontanarsi. «Lavorate qui?»
L'uomo scosse la testa. «No» disse francamente «visto che lei non è d'accordo.»
Hedrock rise. «Desidero vedere il principale.»
«Proprio come pensavo» disse l'uomo. «Be', è stato un buon lavoro, finché è durato.»
Questa volta, Hedrock li lasciò andare. Non provava sorpresa davanti alla loro reazione. Il segreto del potere personale era la sicurezza. E la sicurezza che avevano visto nei suoi occhi affondava le radici in certezze che molti uomini non avevano mai sentito neppure nominare. In tutto il mondo non c'era mai stato un uomo più corazzato di lui sotto il profilo mentale, fisico, emotivo, nervoso e molecolare.
La descrizione datagli da Lucy dell'ufficio di Martin rese inutile un'esplorazione preliminare. Entrò nel corridoio sul retro della sala da gioco. Quando chiuse la porta dietro di sé, una rete cadde su di lui, avvolgendolo completamente. La rete si strinse subito, e lo sollevò di parecchi decimetri dal suolo.
Hedrock non fece alcun tentativo di liberarsi. C'era luce sufficiente a permettergli di vedere il pavimento, un metro e mezzo sotto di lui, e la posizione umiliante non gli dava fastidio. Ebbe il tempo di formulare varie considerazioni. Dunque, Harj Martin cominciava a temere le visite non richieste. Questo dimostrava qualcosa; che cosa esattamente dimostrasse, l'avrebbe scoperto al momento dell'incontro con lui.
Non dovette attendere a lungo. Si udì uno scalpiccio di passi, la porta si spalancò ed entrò l'omino grasso. Puntò verso l'alto una lampada luminosissima e si fermò accanto alla porta, con un'espressione allegra sul volto, rimirando il prigioniero.
«Bene» disse alla fine «che cosa abbiamo preso?»
S'interruppe. Il suo occhio aveva colto lo sguardo di Hedrock. Buona parte dell'allegria sparì dai suoi lineamenti. «Chi è lei?» domandò in tono irritato.
Hedrock disse: «La sera del 5 ottobre, o di una data vicina a questa, ha ricevuto la visita di un giovanotto chiamato Cayle Clark. Che è successo?»
«Qui, sono io a fare le domande» disse Martin. Poi, ancora una volta il suo sguardo incontrò quello di Hedrock. «Senta» disse in tono lamentoso «ma lei chi è?»
Hedrock fece un gesto. Era un atto calcolato con molta attenzione, sia per il momento da lui scelto, sìa per l'effetto che ne sortì. Uno degli anelli che aveva al dito dissolse il materiale robustissimo della rete. Essa si divise in due, sotto di lui, come una porta che si aprisse. Toccò terra in piedi. Disse: «Cominci a raccontare, amico. Ho fretta.»
Ignorando la pistola afferrata da Martin, lo precedette nel suo ampio ufficio. Quando riprese a parlare, la sicurezza vibrava nella sua voce. Dopo di questo, bastarono pochi istanti perché il rassegnato direttore della casa da gioco decidesse di cooperare.
«Se tutto ciò che vuole sono informazioni, per me va bene.» E aggiunse: «La data da lei detta è giusta. Era la mezzanotte del 5 ottobre, quando quel certo Clark è venuto qui. Aveva con sé il suo fratello gemello.»
Hedrock annuì, ma non disse nulla. Non era venuto lì per discutere.
«Accidenti» disse Martin «era la coppia di gemelli più fredda e decisa che abbia mai visto, e lavoravano insieme in perfetto accordo. Uno dei due doveva avere una certa esperienza militare, perché se ne stava dritto... be', sa, quella posizione ipnotica che gli danno all'addestramento. Era quello che sapeva tutto, ed era veramente un duro! Avevo cominciato a dire che non sono una persona che si faccia fregare, e mi ha sparato un colpo che mi ha sfiorato le gambe. Ho fatto un movimento un po' troppo brusco quando mi sono voltato per prendere il denaro nella cassaforte, e un secondo colpo mi ha portato via una ciocca di capelli.»
Indicò con la mano una chiazza sopra la tempia, dove gli mancavano i capelli. Hedrock esaminò per un istante la ferita. Un colpo di striscio, ma mostrava chiaramente che chi l'aveva sparato era stato addestrato al tiro. Negozi d'armi o esercito. Per eliminazione, esercito.
«Non ha subito danni» commentò.
Martin rabbrividì. «Quel tizio non si preoccupava se subissi danni oppure no.» E terminò, lamentosamente: «La vita sta diventando troppo dura. Non sapevo che i normali dispositivi di difesa isheriani potessero venire annullati con tanta facilità.»
Una volta all'esterno, Hedrock si diresse, meditabondo, a una fermata di autopiani. L'esistenza di due Cayle Clark era ormai appurata. E uno di essi era stato nell'esercito abbastanza a lungo per ricevere ben più dell'addestramento preliminare che veniva impartito agli ufficiali. Disponeva già di quell'addestramento il 5 ottobre, un solo giorno dopo l'arrivo di Cayle Clark da Marte. E la mattina, del 6 ottobre, il giorno in cui Clark, secondo le informazioni, era entrato a far parte dell'esercito, disponeva di cinquecentomila crediti.
Era un buon punto di partenza per un giovanotto ambizioso. Ma non poteva certo spiegare alcune cose che stavano succedendo. E, per grande che fosse, era una somma piccolissima, se la si metteva a confronto con l'indice callidetico di Cayle Clark... ammesso che la sua callidesi seguisse uno schema di guadagno di denaro.
Giunse l'autopiano, e quel filo di pensieri s'interruppe. Hedrock doveva ancora fare una visita, quella mattina. Al colonnello Medlon.
27
Robert Hedrock ritornò al proprio ufficio, all'Hotel Regina Ganeel, poco dopo mezzogiorno. Esaminò i rapporti che si erano accumulati durante la sua assenza, poi passò due ore a un telestato privato, parlando con un esperto finanziario del Centro Informativo. Quindi chiamò i membri del consiglio dei negozi d'armi, e chiese un'immediata sessione plenaria.
Occorsero circa dieci minuti perché l'intero consiglio si riunisse nell'apposita sala dell'albergo. Fu Dresley ad aprire la seduta.
«Ho l'impressione, signori» disse «che il nostro coordinatore abbia fiutato una pista promettente. Giusto, signor Hedrock?»
Hedrock si fece avanti sorridendo. L'ultima volta che aveva parlato a una delegazione del consiglio, il suo spirito era gravato dal problema della mappa del tempo e da quello dell'imperatrice. La mappa era ancora nell'edificio, e il suo problema aspettava ancora di essere risolto, e diveniva più urgente di ora in ora. Ma adesso aveva almeno una delle soluzioni. Cominciò, senza preamboli:
«Signori, il mattino del 27 novembre, dodici giorni a oggi, invieremo un messaggio all'Imperatrice Isher, e le chiederemo di cessare la guerra. Accompagneremo la richiesta con dati e cifre che la convinceranno di non avere alternative.»
Si aspettava di provocare sensazione, e la provocò. Quegli uomini sapevano che, quando si trattava del suo lavoro, Hedrock non era il tipo da suscitare vane speranze (dovevano ancora scoprire che la sua efficienza era altrettanto grande in altri campi). Varie paia di piedi si mossero, e ci fu una grande eccitazione.
Peter Cadron disse, sbottando: «Accidenti! Non ci tenga in sospeso. Che cosa ha scoperto?»
«Permettetemi» disse Hedrock «di ricapitolare la situazione.»
E continuò: «Come saprete, il mattino del tre giugno 4784 di Isher, un uomo dell'anno 1951 dell'Era Cristiana comparve nel nostro negozio d'armi di Greenway. Si scoprì allora che l'imperatrice stava puntando una nuova arma a energia contro tutti i negozi d'armi della Città Imperiale.
«Questa energia era un aspetto della forza atomica vecchio nella sua natura, ma nuovo alla scienza. La sua scoperta annuncia un altro passo in avanti nella nostra comprensione della struttura complessa delle tensioni spazio-temporali che permettono l'esistenza della materia.
«La fonte d'energia della Città Imperiale era un edificio terminato di costruire circa un anno fa, e situato sulla Capital Avenue. Il suo effetto sul negozio di Greenway fu diverso da quello avuto sui negozi posti a maggiore distanza.
«Teoricamente, avrebbe dovuto distruggere istantaneamente ogni struttura materiale, ma, sebbene i governanti Isher non l'abbiano mai scoperto, i negozi d'armi non sono fatti di materia nel senso usuale della parola. Cosicché si ebbe un complesso gioco e controgioco di forze gigantesche, che ebbe luogo principalmente nel tempo stesso. In tal modo giunse a noi un uomo che proveniva da settemila anni fa.»
Descrisse brevemente, usando termini di matematica pura, l'azione ad altalena dell'uomo e dell'edificio, una volta ch'essi erano stati sospinti nell'abisso del tempo. E continuò:
«C'è ancora gente che non riesce a capire come si possa avere un'oscillazione temporale, dato che la realtà macroscopica ci dice che il sole e i pianeti si muovono continuamente lungo lo spazio-tempo a quasi venti chilometri al secondo, cui deve sommarsi la velocità relativa dei singoli pianeti nella loro traiettoria orbitale intorno al sole.
«Secondo questa logica, sembrerebbe che, se vi recaste nel passato o nel futuro, dovreste trovarvi in qualche remoto punto dello spazio, a grande distanza dalla Terra. È difficile per persone che seguono questo corso di idee comprendere che lo spazio è una finzione, un effetto secondario della fondamentale energia-tempo, e che una tensione materica come quella costituita da un pianeta non influenza i fenomeni del flusso temporale, ma è essa stessa sottoposta alle leggi dell'energia-tempo.
«La ragione per cui vi è un periodo di equilibrio di due ore e quaranta minuti dopo ogni oscillazione è ancora oscura, ma si è avanzato il suggerimento che la natura cerchi senza tregua la propria stabilità. L'edificio, quando nella sua oscillazione giunge nel passato, occupa lo stesso spazio che occupava nel tempo normale, ma non si hanno ripercussioni... per il fatto che la similarità è una funzione del tempo stesso, e non del suo prodotto tensionale. McAllister cominciò con settemila anni, l'edificio con due secondi. Approssimativamente.
«Oggi l'uomo si trova a diversi quadrilioni di anni da noi, e l'edificio raggiunge nelle sue oscillazioni una distanza di circa tre mesi, o poco meno. Il fulcro, naturalmente, si muove in avanti nel nostro tempo, cosicché si ha ora la seguente situazione: l'edificio, nelle sue oscillazioni, non si spinge più addietro nel tempo del 3 giugno, allorché è iniziata l'altalena. Vi prego di tenere presenti questi dati, mentre passerò in breve a esporre un altro aspetto di questa faccenda, in apparenza complicata ma fondamentalmente semplice.»
Hedrock fece una pausa. Nella stanza c'erano molte persone dall'intelligenza assai pronta, ma notò con interesse che il volto di tutti i presenti era ancora in attesa della spiegazione. Adesso che conosceva la verità, gli pareva strano che nessuno dei consiglieri avesse ancora compreso come stessero le cose. Continuò:
«Signori, il Dipartimento Coordinazione ha scoperto alcuni mesi fa l'esistenza nel villaggio di Glay di un vero gigante callidetico. Tale era la pressione interna che lo spingeva, che non avemmo difficoltà a indurlo a venire a Città Imperiale.
«Dapprima, la nostra convinzione che avrebbe influenzato notevolmente gli avvenimenti venne annullata dalla sua ignoranza delle realtà di Isher. Non entrerò nei dettagli, ma fu inviato su Marte come semplice lavoratore. Riuscì a ritornare quasi immediatamente.»
Spiegò quindi come Lucy Rall si fosse sposata con un Cayle Clark qualche ora prima dell'arrivo della nave che riportava Clark sulla Terra, come i due Clark si fossero procurati 500.000 crediti, e poi avessero fatto visita al colonnello Medlon: e uno dei due che gli avevano fatto visita era sotto travestimento. Era stata una visita fortunata per Medlon. Gli era stato appena richiesto dall'imperatrice stessa di portarle Clark, oppure di prepararsi al peggio. Erano poi stati dati a Clark il grado di capitano, e il solito addestramento con la macchina ipnotica che veniva impartito agli ufficiali. Il giorno seguente, Clark si era presentato a rapporto dall'imperatrice.
«Per ragioni che ritiene dovute a un impulso, ma che si possono ricondurre alla sua callidesi, l'imperatrice lo chiamò a far parte del suo stato maggiore personale, ed egli ne è tuttora membro. Là dove si estende la sua influenza, Clark ha seguito un interessante disegno consistente nell'eliminare senza pietà i casi più palesi di corruzione, e questo ha destato l'interesse dell'ambiziosa Innelda. Anche se non ci fossero altri poteri che operano in suo favore, sembrerebbe un giovanotto destinato a fare molta strada nel servizio imperiale.»
Hedrock sorrise. «In realtà, il Cayle Clark da tenere d'occhio non è quello che opera all'aperto, ma quello che è rimasto nascosto in città. È questo il Clark che sta facendo la storia, a partire dal sette agosto scorso. Nel tempo da allora passato, ha ottenuto i seguenti successi... e, signori, vi avverto, non avete mai sentito qualcosa di simile, prima d'ora.»
In poche frasi, descrisse ciò che era successo. Quando ebbe terminato, il tavolo risuonava di discussioni eccitate. Infine qualcuno disse: «Ma perché ha sposato Lucy Rall?»
«In parte per amore...» Hedrock esitò. Aveva rivolto a Lucy una domanda precisa, e adesso la sua risposta gli permetteva di fornire la spiegazione richiesta. «Direi che è diventato immensamente cauto, e che ha cominciato a pensare al futuro. Gli impulsi fondamentali si sono affacciati alla superficie. Supponiamo che succeda qualcosa a un uomo che in poche settimane ha compiuto il miracolo da lui compiuto.
«Signori, voleva un erede, e Lucy era l'unica ragazza onesta che conoscesse. Forse potrà essere una relazione duratura. Non saprei. Clark, nonostante la sua ribellione contro i genitori, è sostanzialmente un giovanotto dai buoni principi. Sia come sia, Lucy non ne soffrirà. Sperimenterà l'interessante esperienza di avere un figlio. E, in qualità di moglie, ha diritto alla comunione dei beni.»
Peter Cadron si alzò in piedi. «Signori» disse «propongo una mozione di ringraziamento a Robert Hedrock per il servizio che ha reso ai negozi d'armi.»
L'applauso durò a lungo.
«Propongo inoltre» disse Peter Cadron «che gli sia conferito il grado di membro senza restrizioni.»
Ancora una volta non ci furono dissensi. Hedrock si inchinò per ringraziare. Il premio era più che un onore. In qualità di membro senza restrizioni, sarebbe stato sottoposto unicamente agli esami della macchina Pp. I suoi movimenti e le sue azioni non sarebbero più stati vigilati, e avrebbe potuto usare ogni mezzo dei negozi d'armi come se fosse stato una sua proprietà personale. Già Hedrock si comportava virtualmente così, ma in futuro non avrebbe più rischiato di dare adito a sospetti. Era un dono notevole.
«Grazie, signori» disse, quando il battimani ebbe fine.
«E adesso» disse Peter Cadron «chiedo rispettosamente al signor Hedrock di lasciare la sala del consiglio mentre noi discutiamo l'altro nostro problema, l'altalena.»
Hedrock uscì, rattristato. Si era temporaneamente dimenticato che c'era pur sempre il pericolo più grave.
28
Era il 26 novembre, vigilia del giorno preventivato dai negozi d'armi per comunicare all'imperatrice che aveva perso la guerra. Lei non ne aveva alcun sospetto. Si recò all'edificio per vedere, e forse... forse per fare ciò che il capitano Clark aveva suggerito. Provava ancora avversione, ma non timore. La sua opinione era questa: l'Imperatrice Isher non doveva coinvolgere la propria persona in avventure azzardate. Eppure il suggerimento si era fatto strada nella sua mente, e lei si era recata laggiù. Come minimo avrebbe osservato e sarebbe rimasta ad attendere, mentre il capitano Clark e gli scienziati avrebbero effettuato il viaggio. Smontò con agilità dall'autopiano e si guardò intorno.
A poca distanza s'innalzava una cortina protettiva che saliva pigramente al cielo: una nebbia artificiale che, ormai da mesi, nascondeva alla vista dei curiosi quella parte della città. Avanzò lentamente, girando qui e là il volto dai caratteristici lineamenti Isher, per esaminare la scena. Vide il capitano Clark e gli chiese:
«A che ora apparirà l'edificio?»
Il sorridente giovanotto la salutò in modo impeccabile. «Tra sette minuti, Maestà.»
«Avete tutto l'equipaggiamento necessario?»
Ascoltò con attenzione il riepilogo di Clark. Sette gruppi di scienziati sarebbero entrati nell'edificio, ciascun gruppo con i propri strumenti di rilevazione. Era un piacere notare come il capitano Clark avesse provveduto a controllare di persona l'elenco degli strumenti di ciascun gruppo. «Capitano» gli disse, raggiante «lei è un tesoro.»
Cayle non rispose. Le lodi non significavano nulla per lui. Quella giovane donna, che quasi letteralmente possedeva il mondo, certo non si aspettava che degli uomini intelligenti le fossero assolutamente fedeli in cambio di qualche complimento e della paga dell'esercito.
Cayle non provava alcun senso preventivo di colpa, e in realtà non vedeva l'atto che stava per compiere come qualcosa che potesse in alcun modo danneggiarla. Nel mondo di Isher si faceva ciò che si riteneva necessario fare, e per lui non c'era modo di ritornare sui suoi passi. Lo schema che le sue azioni avrebbero preso era già fissato da mesi.
La donna aveva ripreso a guardare la scena. Il foro nel suolo, dove un tempo sorgeva l'edificio, stava alla sua destra. Alla sua sinistra c'era il negozio d'armi di Greenway, con il suo parco. Era la prima volta che ne vedeva uno le cui insegne luminose non fossero accese. Questo le diede un senso di benessere. Il negozio pareva stranamente isolato, laggiù, all'ombra dei suoi alberi. Strinse i pugni e pensò: "Se tutti i negozi d'armi del sistema solare venissero improvvisamente eliminati, si potrebbero prendere le migliaia di terreni a parco, dove adesso sorgono, e trasformarli in qualsiasi altra cosa, cosicché... in una sola generazione" considerò con una cupa certezza "sarebbero totalmente dimenticati. E i nuovi bambini crescerebbero domandandosi di che razza di assurdità mitologica parlassero gli anziani".
«Per tutti gli dèi dello spazio!» disse a voce alta, con passione «è quanto sta per succedere.»
Le sue parole furono come un segnale. L'aria tremolò stranamente. E dove prima c'era un enorme foro simmetrico, d'improvviso giganteggiò un edificio.
«Esatto al minuto» disse al suo fianco il capitano Cayle Clark, con soddisfazione.
Innelda fissò la struttura, intimidita. Aveva già osservato una volta l'intero processo, ma su uno schermo telestatico. Era assai diverso trovarsi sul luogo. Per prima cosa, la dimensione si poteva meglio apprezzare. Quasi cinquecento metri si innalzava nel cielo l'edificio, compatto nella sua struttura in lega di plastacciaio, ed era altrettanto largo e lungo quant'era alto.
Doveva essere un grosso edificio, naturalmente. Gli ingegneri avevano chiesto camere a tenuta d'aria di dimensioni eccezionali, tra le sale generatrici. Il vero e proprio spazio abitabile, all'interno, era limitato. Occorse quasi un'ora per visitare tutti i piani.
«Bene» disse Innelda, in tono sollevato «non sembra che questo luogo abbia subito danni di sorta, a causa di ciò che è accaduto. Che ne è dei topi?»
I topi erano stati posti nell'edificio durante una sua precedente ricomparsa. Fino a quel momento non avevano dato segno di avere sofferto, ma parve consigliabile controllare in modo più approfondito. Rimase in attesa in una delle sale superiori, guardando di tanto in tanto l'orologio, mentre i minuti passavano.
S'accorse con fastidio di essere nervosa. E ora, laggiù nel virtuale silenzio di un edificio quasi vuoto, capì che l'idea di unirsi al viaggio era una sciocchezza. Lanciò uno sguardo agli uomini che si erano offerti di accompagnarla se avesse deciso di andare. Il loro silenzio non era normale: non la guardavano direttamente, ed erano fermi e imbronciati. Guardavano fuori, al di là delle pareti trasparenti.
Si udì un rumore di passi. Comparve a grandi falcate il capitano Clark. Sorrideva, e nelle sue mani tenute a coppa c'era un topo bianco.
«Maestà» disse «gli dia solo un'occhiata. Vispo come un grillo.»
Il capitano era così allegro, quando le porse il piccolo animale, che Innelda lo prese e lo osservò pensosa. D'impulso, a un tratto, premette contro la guancia il corpicino caldo.
«Che cosa potremmo fare» mormorò «senza degli incantevoli topini come te?»
Poi si rivolse al capitano Clark: «Allora, signore» disse «qual è l'opinione degli scienziati?»
«Ogni topo» disse Clark «è organicamente, emotivamente e psicologicamente sano. Tutti i test che permettono di valutare le condizioni dei topi hanno dato esito favorevole.»
Innelda annuì. Concordava con i dati già disponibili. All'inizio, il giorno in cui era stato dato il via all'attacco, prima che gli uomini all'interno dell'edificio potessero sapere che cosa fosse successo, l'intera struttura era scomparsa, causando un'immensa confusione negli involontari viaggiatori: di tale confusione non aveva mai ricevuto un resoconto coerente. Poi, nel momento in cui, quella prima volta, l'edificio era riapparso, tutto il personale era stato fatto uscire; a nessuno era stato poi permesso di compiere nuovamente il "viaggio", da quel giorno in poi. E gli esami medici a cui erano stati sottoposti gli impiegati avevano dimostrato che non avevano riportato alcuna conseguenza.
Eppure Innelda esitava. Avrebbe dato una cattiva impressione, ora, col suo rifiuto di accompagnare gli scienziati, ma c'erano molti fattori da considerare. Se le fosse successo qualcosa, il governo Isher avrebbe corso il rischio di cadere. Lei non aveva eredi diretti. La successione sarebbe passata al principe Del Curtin, uomo assai popolare, ma che molte persone sapevano caduto in disgrazia presso di lei. Tutta la situazione era ridicola. Si sentiva moralmente impegnata, ma non si poteva negare la realtà.
«Capitano» disse, con fermezza «lei si è offerto volontario per questo viaggio... indipendentemente dalla mia partecipazione. La mia decisione irrevocabile è di non venire. Le auguro di avere fortuna, e mi augurerei di poter venire con voi. Ma temo che il mio dovere lo vieti. Come imperatrice, non mi sento libera di partecipare ad avventure in cui ci si imbarchi a cuor leggero.»
Gli tese la mano. «Vada lei, con le mie benedizioni.»
Meno di un'ora dopo, osservava l'edificio che scompariva nel nulla. Attese. Le venne portato del cibo. Lo consumò nel suo autopiano, lesse diversi documenti ufficiali che aveva portato con sé, e poi, quando l'oscurità cadde sulla capitale del suo impero, vide all'orologio da polso che ancora una volta era imminente il ritorno dell'edificio.
Ricomparve d'improvviso, e presto cominciarono a uscirne gruppi di persone. Uno degli scienziati si recò da lei:
«Maestà» disse «il viaggio è stato effettuato senza incidenti, a parte una sola cosa.
«Il capitano Clark, come lei sa, intendeva lasciare l'edificio a scopi esplorativi. Si è allontanato. Abbiamo ricevuto un solo messaggio da lui; parlando nel telestato che portava al polso, ci ha detto che la data era il 7 agosto, 4784 Isher.
«Questa è stata l'ultima notizia che abbiano ricevuto da lui. Deve essergli successo qualcosa. Non è ritornato in tempo per effettuare insieme con noi il viaggio di ritorno.»
«Ma...» cominciò Innelda. S'interruppe, sconcertata. Poi: «Ma questo significa che dal 7 agosto al 26 novembre sono esistiti due Cayle Clark: quello normale e quello che è tornato indietro nel tempo.»
Fece una pausa, incerta. "Il vecchio paradosso temporale" rifletté tra sé e sé. "Può un uomo andare indietro nel tempo e scambiare con se stesso una stretta di mano?"
E a voce alta, in tono perplesso: «Ma che cosa sarà successo al secondo Cayle Clark?»
29
7 agosto. Era una giornata luminosa, con un cielo di morbido colore turchino; e una debole brezza soffiava sul volto di Clark che si allontanava rapidamente, a piedi, dall'edificio che lo aveva riportato a un periodo della sua vita passata. Nessuno lo infastidì. Indossava la divisa di capitano e aveva le speciali mostrine rosse che indicavano l'appartenenza allo stato maggiore dell'imperatrice. Le sentinelle che sorvegliavano le strade adiacenti all'edificio scattarono sull'attenti quando passò davanti a loro.
Entro cinque minuti si trovò su un autopiano pubblico, diretto senza esitazioni verso il cuore della città. Dovevano trascorrere più di due mesi e mezzo, prima che ritornasse al punto da cui era partito: ma per ciò che aveva in mente, quel periodo di tempo sarebbe stato fin troppo breve.
Era già pomeriggio inoltrato, ma riuscì ad affittare un ufficio di quattro stanze prima dell'orario di chiusura commerciale. Un'agenzia di collocamento gli promise di inviargli vari impiegati, stenografe e contabili, l'indomani mattina alle nove. E sebbene i locali fossero adibiti soltanto a ufficio, riuscì ad avere una branda in affitto, prima di mezzanotte, da un servizio di noleggio che teneva aperto ventiquattr'ore su ventiquattro.
Quella notte rimase desto a fare progetti fino alle prime ore del mattino seguente, e poi dormì di un sonno inquieto sulla branda. Si alzò poco più tardi dell'alba, e, portando con sé il foglio di carta su cui aveva fatto i suoi calcoli, prese un ascensore che lo condusse alla sala-borsa di una delle maggiori agenzie di cambio della città. In tasca aveva i quasi 500.000 crediti che gli erano stati dati dal "secondo" Cayle Clark. Il denaro era prevalentemente in banconote di grosso taglio, e tuttavia erano tante quante un uomo poteva portare su di sé, senza per questo perdere la facoltà di muoversi.
Prima che la giornata fosse trascorsa, aveva guadagnato tre milioni e settecentomila crediti. E i contabili del suo ufficio, alcuni piani più in alto, erano indaffaratissimi a registrare le sue transazioni di titoli; le stenografe cominciavano a scrivere lettere; e un ragioniere diplomato, assunto in fretta e furia come capufficio, ingaggiò altri impiegati e ampliò gli spazi degli uffici, affittando locali dei piani vicini.
Stanco ma trionfante, Cayle passò la sera a prepararsi alla giornata seguente. Aveva avuto una prima esperienza di quel che poteva fare un uomo che aveva portato con sé dal futuro i completi listini di Borsa di un periodo di due mesi e mezzo. Quella notte dormì con un senso di esaltazione. Quasi non riusciva ad attendere l'arrivo del giorno seguente. E di quello successivo. E di quello dopo. E dopo.
Nel mese di agosto guadagnò novanta miliardi di crediti. In questa serie di operazioni si impadronì di una delle grandi catene bancarie, di stabilimenti industriali per un valore complessivo di quattro miliardi di crediti, e ottenne il controllo parziale di altre trentaquattro compagnie.
Nel mese di settembre guadagnò trecentonovanta miliardi di crediti, e assorbì la colossale Prima Banca Imperiale, tre compagnie minerarie interplanetarie, e partecipazioni nella proprietà di duecentonovanta compagnie. Alla fine di settembre si era insediato in un grattacielo di cento metri, nel cuore del distretto finanziario, e aveva dato all'Anonima Impiegati il compito di allestirgli una completa struttura aziendale, in modo da presentarsi sul mercato come una delle grandi holding finanziarie. Il 30 settembre, più di settemila impiegati lavoravano nel suo palazzo.
In ottobre trasformò le sue risorse in denaro e le investì nell'acquisto di alberghi e proprietà residenziali, per un totale di 3150 miliardi di crediti. Nello stesso mese di ottobre sposò Lucy Rall, rispose alla chiamata telestatica effettuata da lui stesso - di ritorno da Marte - e fissò un appuntamento per incontrare l'"altro" Clark. I due giovani, entrambi spietati e decisi, fecero visita al Penny Palace e ripresero dalle mani di Harj Martin il denaro che il direttore della casa da gioco aveva loro rubato.
In realtà, a quel punto il denaro non aveva molta importanza, ma c'era un'importante questione di principio. Cayle Clark era deciso a conquistare l'impersonale mondo di Isher. E nessuno che lo avesse ingannato avrebbe conservato a lungo la soddisfazione di averlo fatto. Dopo Harj Martin, fu un passo naturale quello di andare a cercare il colonnello Medlon e in tal modo di prepararsi il terreno per il viaggio nel passato.
Due Cayle Clark (in realtà uno solo, ma proveniente da due diversi istanti del tempo), e questa era la storia che Robert Hedrock aveva esposto al consiglio dei negozi d'armi. E fu questo il fenomenale incidente che costrinse l'imperatrice a porre termine alla sua guerra per evitare che altri uomini o altri ufficiali spezzassero la stabilità finanziaria del sistema solare nel tentativo di emulare il clamoroso successo di Cayle Clark.
30
All'esterno era già scesa la notte. Fara si avviò per le strade tranquille di Glay e per la prima volta fu colto dal pensiero che il Centro Informativo dei negozi d'armi doveva trovarsi agli antipodi, poiché laggiù era giorno.
L'immagine svanì come se non fosse mai esistita, quando cominciò a riprendere contatto con il villaggio di Glay che dormiva tutt'intorno a lui. Silenzioso, pieno di pace... eppure brutto, egli pensò, brutto della bruttezza del male innalzato su un piedistallo.
Ma pensò: "Il diritto di acquistare armi..." e il cuore gli palpitò in gola, e negli occhi gli si affacciarono le lacrime. Si passò sulle palpebre il dorso della mano, per schiarirsi la vista, e pensò al padre di Creel, morto da lungo tempo, e continuò a camminare senza vergogna. Le lacrime si addicevano a un uomo adirato come lui.
Il robusto lucchetto metallico cedette subito, sotto la sottile, luminosa energia della pistola. Una sola vampata di fuoco, il metallo si dissolse ed egli fu dentro. Era buio, troppo buio per vedere, ma Fara non accese subito le luci. A tastoni andò a cercare i comandi delle finestre, regolò i vetri sulla vibrazione oscura, e solo allora accese le luci. Trangugiò a vuoto, intimorito e sollevato, quando vide che le macchine... gli strumenti preziosi che aveva visto portar via dall'ufficiale giudiziario... erano di nuovo lì, pronti per l'uso.
Tremando per la tensione nervosa, Fara chiamò Creel al telestato. Occorse qualche tempo perché la moglie venisse a rispondere; e quando venne era in vestaglia. Nel vedere chi fosse, divenne pallidissima.
«Fara, oh, Fara, io pensavo...»
La interruppe con un sorriso truce. «Creel, sono stato al negozio d'armi. Voglio che tu faccia questo: vai subito da tua madre. Io sono qui in officina. Intendo rimanere qui giorno e notte, finché non sarà chiaro che io ci rimarrò... Tra poco tornerò a casa a prendere cibo e vestiti, ma per quell'ora voglio che tu non ci sia più. È chiaro?»
Il colore stava ritornando nel viso sottile e aggraziato di Creel. Disse: «Non tornare a casa, Fara. Farò io tutto ciò che è necessario. Metterò nell'autopiano ciò che serve, compreso un letto pieghevole. Dormiremo nella stanza sul retro dell'officina.»
Sorse infine un pallido mattino, ma dovettero arrivare le dieci prima che un'ombra oscurasse il riquadro della porta aperta; entrò il poliziotto Jor. Pareva vergognarsi di sé.
«Ho qui un ordine d'arresto per lei» disse.
«Dica a coloro che l'hanno inviata» rispose Fara, con precisione «che mi sono opposto all'arresto... con una pistola.»
L'atto fece seguito alle parole, con tale rapidità che Jor batté le palpebre. Rimase immobile per un istante: un omaccione dall'aria sonnolenta, che fissava la pistola luccicante, magica. Poi:
«Ho qui una citazione che le ordina di presentarsi al tribunale di Ferd questo pomeriggio. La accetta?»
«Certo.»
«Allora, si presenterà?»
«Invierò il mio avvocato» disse Fara. «Lasci cadere a terra il foglio, senza preoccupazioni. Dica che l'ho preso.»
L'uomo dei negozi d'armi aveva detto: "Non deve schernire a parole nessuna misura legale delle autorità imperiali. Semplicemente, deve disobbedire loro".
Jor uscì, con aria sollevata. Occorse un'ora prima che il sindaco Mel Dale facesse solenne ingresso dalla stessa porta.
«Via, Fara Clark» disse con voce stentorea «non può pensare di cavarsela. Questa è una sfida alle autorità legali.»
Fara continuò a tacere, mentre sua eccellenza s'inoltrava pesantemente all'interno dell'officina. Era strano, quasi sorprendente che il sindaco Dale mettesse così a repentaglio il suo corpo prezioso e grasso. La perplessità scomparve quando il sindaco disse a bassa voce:
«Ottimo lavoro, Fara; sapevo che lei aveva i numeri per farlo. Qui a Glay siamo in varie decine ad appoggiarla, perciò tenga duro. Ho dovuto gridare contro di lei, un momento fa, perché c'è un capannello di gente, fuori. Gridi anche lei, per favore. Lanciamoci qualche insulto. Ma per prima cosa, voglio avvertirla: il direttore locale della Riparazioni Atomiche Automatiche sta arrivando con le sue guardie del corpo. Due guardaspalle.»
Tremando, Fara guardò il sindaco che si allontanava. La crisi era prossima. Si fece forza, dicendosi: "Che vengano, che vengano...".
Fu più facile di quanto non avesse supposto, poiché gli uomini entrati in officina impallidirono nel vedere la pistola che portava nella fondina. Tuttavia ci fu ugualmente una tempestosa serie di accuse e contraccuse, che infine si ridusse a: «Senta» disse l'uomo «noi abbiamo pur sempre la sua cambiale di dodicimilacento crediti. Non vorrà negare che ci deve questa somma.»
«La ricomprerò» disse Fara, duro come una pietra «per esattamente mille crediti, la somma effettivamente pagata a mio figlio.»
Il giovanotto dalla mascella robusta lo fissò a lungo. «Va bene» disse alla fine, bruscamente.
Fara disse: «Ho già qui il contratto.»
Il suo primo cliente fu il vecchio Lan Harris, l'avaro. Fara fissò l'uomo anziano, e mille supposizioni si affacciarono nella sua mente: infine comprese, per la prima volta, con animo perturbato, che i negozi d'armi dovevano essersi installati sul terreno di Harris con il suo permesso. Un'ora dopo che Harris se ne fu andato, la madre di Creel entrò a grandi passi nell'officina. Si chiuse la porta alle spalle.
«Benissimo» disse. «Ce l'hai fatta, eh? Ottimo lavoro. Mi spiace d'esserti sembrata tanto scorbutica quando sei venuto da me, ma noi sostenitori dei negozi d'armi non ci possiamo permettere di correre dei rischi per favorire coloro che non sono dalla nostra parte.
«Ma lasciamo perdere. Sono venuta per riportare Creel a casa. La cosa importante è che tutto si rimetta alla normalità nel minor tempo possibile.»
Era tutto finito. Incredibilmente, era tutto finito. Per due volte, quella sera, mentre camminava verso casa, Fara si fermò prima di posare a terra il piede, e si chiese se non fosse stato tutto un sogno. L'aria era inebriante come vino. Il piccolo mondo di Glay si stendeva davanti a lui, delizioso e verdeggiante, come un piacevole paradiso dove il tempo si fosse fermato.
31
L'imperatrice disse: «Signor De Lany.»
Hedrock le rivolse un inchino. Si era leggermente travestito, e aveva ripreso uno dei suoi nomi abbandonati da tempo, in modo che lei non potesse riconoscerlo in una data futura.
«Ha chiesto un'udienza?» domandò l'Imperatrice Isher.
«Come vede.»
Lei giocherellò con il suo biglietto da visita. Indossava un abito bianco come la neve, che accentuava l'abbronzatura del viso e del collo. La stanza in cui lo aveva ricevuto era arredata in modo da sembrare un'isoletta dei mari del Sud. Palme e arbusti verdi li circondavano. E da ogni parte c'era acqua, che lambiva con le sue onde una spiaggia realistica come se fosse stata vera. Un vento freddo soffiava dalla direzione di quel mare inquieto, e colpiva la schiena di Hedrock e il viso di lei.
La donna fissò Hedrock con aria indispettita. Vedeva un uomo di portamento schietto, di aspetto imperioso. Ma furono i suoi occhi a sorprenderla. Erano forti e gentili, e infinitamente coraggiosi. Non si era aspettata d'incontrare qualità così spiccate. Il visitatore acquistò, d'improvviso, un'insolita importanza. Riabbassò gli occhi sul biglietto da visita.
«Walter De Lany» disse, pensosa. Parve ascoltare il suono del nome, mentre lo pronunciava, come se si aspettasse che venisse ad assumere un significato. Infine scosse il capo, perplessa.
«Come si è introdotto qui? Ho trovato questa udienza sulla lista, e ho dato per inteso che il ciambellano l'avesse predisposta perché riguardava affari importanti.»
Hedrock non disse nulla. Come molti altri imperiali, il ciambellano era privo degli addestramenti difensivi mentali. E, sebbene lei li avesse, l'imperatrice non sapeva che i negozi d'armi avevano inventato dei metodi, basati sull'uso delle energie, che costringevano le menti non protette a dare immediate risposte favorevoli. La donna riprese a parlare.
«Molto strano» commentò.
Hedrock disse: «Si rassicuri, signora. Sono venuto a chiedere la sua grazia per un uomo innocente e sventurato.»
Queste parole destarono la sua attenzione. Ancora una volta i suoi occhi incontrarono quelli di Hedrock, si ritrassero di fronte alla forza di quello sguardo e non si mossero più.
Hedrock disse, pacatamente: «Maestà, lei ha la possibilità di compiere un atto di ineguagliabile generosità nei riguardi di un uomo che si trova a quasi cinque milioni di anni da noi, e oscilla tra passato e futuro, mentre il suo edificio lo spinge sempre più lontano.»
Era stato necessario dire quelle parole. Si aspettava che la donna ricordasse immediatamente che solo i suoi fedelissimi e i suoi nemici potevano conoscere i dettagli che riguardavano l'edificio scomparso. Il modo in cui il pallore si diffuse sul suo volto mostrò che aveva capito.
«Lei è un uomo dei negozi d'armi?» mormorò. S alzò in piedi. «Esca di qui» disse, in un soffio. «Fuori.»
Hedrock sollevò la testa. «Maestà» disse «si controlli. Non corre alcun pericolo.»
Voleva che le sue parole fossero come una doccia fredda. L'insinuazione che lei avesse paura riportò macchie di colore sul suo viso. Rimase immobile per un istante, poi, con un movimento velocissimo, s'infilò una mano nella scollatura e ne trasse un'arma a energia, lucida e bianca.
«Se non si allontanerà all'istante» disse «io sparerò.»
Hedrock staccò le mani dal corpo, come un uomo sottoposto a perquisizione. «Una pistola ordinaria» disse, stupito «contro un uomo che porta con sé una difesa dei negozi d'armi? Signora» aggiunse «se volesse ascoltarmi un solo istante...»
«Io» disse l'imperatrice «non tratto con la gente dei negozi d'armi.»
Frase semplicemente irritante. «Maestà» disse Hedrock, senza alterare il tono di voce «mi sorprende che faccia simili affermazioni infantili. Non solo ha trattato con i negozi d'armi, gli scorsi giorni, ma si è arresa a essi. È stata costretta a porre fine alla guerra e a distruggere le sue macchine a energia-tempo. Ha accettato di non punire gli ufficiali disertori e di limitarsi a congedarli. E ha assicurato l'immunità a Cayle Clark.»
Vide nel suo volto che queste parole non l'avevano toccata. Continuava a fissarlo, con la fronte aggrottata. «Ci dev'essere un motivo» disse infine l'imperatrice «perché lei osi parlare con me a questo modo.»
Le sue stesse parole parvero galvanizzarla. Si voltò verso la poltrona da lei occupata fino a poco prima e rimase ferma accanto a essa, con un dito posato su uno dei braccioli scolpiti.
«Se premerò questo allarme» disse «accorreranno le guardie.»
Hedrock sospirò. Aveva sperato che la donna non lo costringesse a rivelare il proprio potere. «Allora» consigliò «perché non lo preme?» Era tempo, si disse, che l'imperatrice scoprisse la sua vera situazione.
La donna disse: «Crede che non lo faccia?» Con fermezza, il suo dito si abbassò.
Cadde il silenzio, interrotto soltanto dallo sciacquio delle onde e dal suono dolce della brezza artificiale. Dopo un paio di minuti e più, Innelda, ignorando Hedrock come se non esistesse, si allontanò di cinque o sei metri, raggiunse un albero e toccò uno dei rami. Doveva trattarsi di un altro allarme, poiché attese - non altrettanto a lungo, questa seconda volta - e poi si affrettò verso la folta siepe che nascondeva il pozzo dell'ascensore. Ne azionò il meccanismo e, quando non ebbe risposta, ritornò lentamente al punto dove Hedrock attendeva, e sedette sulla poltrona. Era pallida, ma composta. I suoi occhi non lo fissavano, ma la sua voce era calma, priva di paura.
«Intende uccidermi?»
Hedrock scosse il capo, ma non disse nulla. Ancor più fortemente ora, rimpiangeva di averle dovuto rivelare quanto fosse debole: lo rimpianse anche per il fatto che l'imperatrice si sarebbe messa senza dubbio a modernizzare le difese del palazzo, nell'erronea convinzione di potersi proteggere dalla scienza dei negozi d'armi, ben più progredita di quella imperiale.
Era giunto in quella stanza, quel pomeriggio, solo dopo essersi preparato per ogni emergenza, fisica o mentale. Non poteva costringerla a fare ciò che voleva, ma le sue dita scintillavano di anelli offensivi e difensivi. Aveva indossato la sua tuta "da lavoro", e perfino gli scienziati dei negozi d'armi si sarebbero stupiti di fronte alla varietà delle sue protezioni. Vicino a lui, nessuna energia avrebbe potuto alimentare i sistemi d'allarme, e nessuna arma avrebbe potuto funzionare. Era il giorno della massima decisione nella storia del sistema solare, ed egli era venuto poderosamente armato.
Gli occhi della donna lo fissavano con cupa attenzione. «Che cosa desidera?» chiese. «Che cosa voleva dire, a proposito dell'uomo di cui ha parlato?»
Hedrock le parlò di McAllister.
«Lei è impazzito?» mormorò, quando ebbe terminato. «Ma perché è così lontano? L'edificio dista solo... tre mesi.»
«Il fattore dominante pare essere la massa.»
«Oh!» Poi silenzio. «Ma che cosa mi chiede di fare?»
Hedrock disse: «Maestà, quest'uomo esige da noi pietà e misericordia. Galleggia in un vuoto di cui occhi umani non vedranno mai l'uguale. Ha visto la nostra Terra e il nostro Sole nella loro infanzia e nella loro estrema vecchiaia. Ormai, nulla potrebbe salvarlo. Dobbiamo concedergli il sollievo della morte.»
Nella propria mente, Innelda si raffigurò la notte da lui descritta. Era più pensosa, ora, e vedeva l'evento nella sua scala più vasta.
«Che cos'è» chiese «la macchina che ha con lei?»
«È un duplicato della macchina localizzatrice dei negozi d'armi.» Non spiegò di averla costruita in uno dei suoi laboratori segreti. «Manca solo la mappa, che era troppo complessa per poter essere riprodotta agevolmente.»
«Capisco.» Erano parole pronunciate in modo meccanico e non una vera risposta. Studiò il viso di Hedrock. Poi disse, lentamente: «Qual è il suo ruolo, in tutto ciò?»
Era una domanda a cui Hedrock non intendeva rispondere. Si era recato dall'Imperatrice Isher perché lei aveva subito una sconfitta, e, essendo la sua posizione quella che era, era importante che in lei non rimanesse troppo rancore. L'uomo immortale, quando interveniva ancora una volta nelle faccende dei mortali, doveva pensare a cose come quella.
«Signora» disse «non c'è tempo da perdere. L'edificio riapparirà tra un'ora soltanto.»
La donna rispose: «Ma perché non possiamo lasciare questa decisione al consiglio dei negozi d'armi?»
«Perché potrebbero prendere la decisione sbagliata.»
«E qual è» continuò Innelda «la decisione giusta?»
Seduto davanti a lei, Hedrock gliela disse.
Cayle Clark regolò i comandi in modo che l'autopiano facesse un ampio giro intorno alla casa.
«Oh, mio dio!» esclamò Lucy Rall Clark. «Ma è una di quelle case sospese nell'aria...»
S'interruppe, e fissò ad occhi sbarrati, pieni di meraviglia, il terreno sottostante i giardini pensili, la casa che si librava nel cielo. «Oh, Cayle» disse «ma sei sicuro che possiamo permettercela?»
Cayle Clark sorrise. «Cara, te l'ho spiegato una decina di volte. Non intendo spiegartelo di nuovo.»
Lei protestò: «Non è questo che voglio dire. Sei sicuro che l'imperatrice ti permetterà di farla franca?»
Cayle Clark rivolse alla moglie un debole, obliquo sorriso. «Il signor Hedrock» disse lentamente «mi ha dato una pistola dei negozi d'armi. E inoltre ho fatto per Sua Maestà un mucchio di cose che... almeno, così mi ha detto oggi al telestato... lei apprezza. Non è una persona che ami dissimulare i suoi pensieri, e perciò ho accettato di continuare a lavorare per lei in modi non molto diversi da prima.»
«Oh!» disse Lucy.
«Adesso non agitarti troppo» disse Cayle. «Ricorda, sei stata tu stessa a dirmi che i negozi d'armi credono in un governo unico. E tanto più questo governo sarà purificato, tanto meglio starà il pianeta. E credimi...» il suo volto si indurì «ho avuto sufficienti esperienze per provare il vivo desiderio di purificarlo.»
Fece atterrare l'autopiano sul terrazzo della residenza a cinque piani. Accompagnò Lucy all'interno, scendendo nel mondo di stanze chiare e deliziose in cui sarebbero vissuti insieme per sempre.
Almeno, a ventidue o ventitré anni, sembrava che fosse per sempre.
Epilogo
McAllister aveva dimenticato la decisione che intendeva prendere. Era così difficile pensare in quelloscurità. Aprì gli occhi stanchi e vide di essere sospeso immobile nello spazio nero. Non c'era alcuna terra sotto di lui. Era giunto a un tempo in cui i pianeti non esistevano ancora. L'oscurità pareva essere in attesa di qualche evento colossale.
In attesa di lui.
Ebbe un improvviso lampo di intuizione di ciò che stava per accadere. Poi sopraggiunse la meraviglia, la comprensione di quale dovesse essere la sua decisione: rassegnarsi alla morte.
Era una decisione straordinariamente facile da prendere. Era talmente stanco. Un ricordo agrodolce si riaffacciò in lui: i giorni, ormai lontani nel tempo e nello spazio, in cui era steso a terra, moribondo, su un campo di battaglia, verso la metà del Ventesimo secolo, e si era rassegnato all'oblio. Allora aveva pensato di dover morire perché altri potessero vivere. E adesso il sentimento era uguale, ma più forte, a un livello assai superiore...
Di come si sarebbe svolta la cosa, non aveva idea. Ma l'altalena sarebbe terminata nel più remoto passato, con la liberazione dell'enorme energia-tempo da lui accumulata in ciascuna di quelle mostruose oscillazioni.
McAllister non vi avrebbe assistito, ma avrebbe contribuito alla formazione dei pianeti.
FINE